Aladdin, la recensione del remake dal vero con Will Smith
La Disney rifà uno dei film simbolo del Rinascimento animato degli anni Novanta.
Con questo remake di Aladdin dal vero, ennesimo di una serie che ci ha recentemente proposto il Dumbo burtoniano, la Disney riprende in mano la sua storia più recente, quell'indimenticabile "Rinascimento Disney" degli anni Novanta che già ha portato fortuna alla major con la rivisitazione di La bella e la bestia interpretato da Emma Watson. Da un certo punto di vista, è persino più rischioso riproporre una storia del Rinascimento, perché da una certa fascia anagrafica degli spettatori è venerata come e più di classici di assoluto valore ma lontani nel tempo.
Le necessità del policamente corretto sono cresciute negli ultimi vent'anni e sicuramente nell'ultimo periodo, tanto che danno al nuovo Aladdin la sua pur labile identità. E' inevitabile che l'idea di un Genio-schiavo come Will Smith, e della sua agognata liberazione, possa richiamare le battaglie degli afroamericani, sempre più sentite a Hollywood specie dopo il successo stratosferico in patria di Black Panther. E' una suggestione di certo non secondaria, e l'attore ci è sembrato una scelta corretta per anche solo sfiorare il mito del Genio, doppiato in originale da Robin Williams e animato dal talento di Eric Goldberg: sfrenato e dotato di parlantina torrenziale, Smith sembra piuttosto divertito e a suo agio. Il suo sarcasmo nell'accompagnare l'Aladdin finto principe dà vita alle scene più divertenti.
Piuttosto centrata ci è sembrata anche Naomi Scott nei panni di Jasmine, meno sexy del prototipo ma bella e volitiva come fu la Carrie Fisher di Guerre Stellari: il nuovo copione non cancella l'elemento sentimentale, ma lo rende importante quanto la sua voglia di contare in un mondo maschile, forse meno adatto di lei a capire il popolo. Anacronistico, dirà qualcuno, se non fosse che nemmeno l'Aladdin originale era complessivamente un ritratto d'epoca fedele, quindi non è il caso di inalberarsi per queste libertà. Anzi, è un bene che ci sia almeno qualcosa che rifletta l'epoca in cui viviamo (che non è il 1992-93), s'intende nel contesto flessibile di una fiaba.
Il problema del nuovo Aladdin è che i due elementi citati sono a parer nostro gli unici a destare un minimo di interesse e novità. Da appassionati di animazione disneyana, cominciamo davvero ad accusare la fatica di queste operazioni. Adottare una pregiudiziale non è mai corretto, però è davvero difficile liberarsene quando su una pregiudiziale di stampo positivo si baserebbe la stessa esistenza di un rifacimento come questo.
Altrove sinonimo di regia nerboruta e dinamica, Guy Ritchie si ritaglia qui pochissimi spazi per un tocco personale, in uno spettacolo abbastanza piatto che si risveglia giusto nelle sequenze musical chiave, solo perché vivono di rendita delle stesse scene del 1992. Mena Massoud è simpatico, però riesce difficile crederlo un vero furbacchione come l'Aladdin disegnato da Glen Keane ispirandosi a Tom Cruise. Marwan Kenzari si impegna, ma manca del gigionismo che ci aspetteremmo da Jafar. Iago è presente ma più che altro per dovere, in poche sequenze e privo di caratterizzazione. Al di là della performance di Smith, le sue metamorfosi in computer grafica e performance capture sono più rigide e meno naturali di quelle di un disegno: suonerà banale o passatista scriverlo, ma il concetto rimane (e lo stesso discorso vale per Abu, meno affascinante come scimmia fotorealistica). Momenti chiave molto chiari nella versione originale diventano più contorti, con alcuni passaggi in più nei dialoghi, nella speranza di differenziarsi dal modello: si vedano gli stratagemmi di Aladdin per uscire dalla Caverna o nello scontro finale. Le espansioni musicali sono trascurabili. Abbiamo reso l'idea.
Se si vuol vivere di rendita così tanto sul ricordo, strategia che personalmente non riusciamo ad accettare, è pure giusto che scatti una legge del contrappasso, cioè che gli spettatori nostalgici ne valutino i dettagli come davanti alla fedeltà di un cosplay, dal mancato rispetto di alcuni vecchi testi italiani delle canzoni, alla tonalità di blu del Genio. Effetto boomerang.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"