So cosa hai fatto: la sfida dell'horror al soggetto e alla società raccontata da Pier Maria Bocchi
Il critico di FilmTv e Cineforum, studioso di cinema acuto e originale, da sempre attento e appassionato cultore di cinema horror, ha pubblicato con Lindau un libro personale e ispirato che esplora "scenari, pratiche e sentimenti dell'horror moderno".
All’inizio degli anni Duemila, nel corso di uno dei dibattiti organizzati da un bel festival dedicato alla critica cinematografica che si chiamava Ring!, l’allora direttrice di FilmTv Emanuela Martini proruppe in una frase che mi fece molto ridere: “Ma Bocchi è pazzo!”. Si parlava di stelline, pollici e voti, e qualcuno aveva tirato in ballo il fatto che Pier Maria Bocchi, che era (com'è adesso) uno dei critici di quella rivista, dava spesso e volentieri ai film voti altissimi o bassissimi, e del tutto in controtendenza rispetto ai suoi colleghi (abitudine che non è cambiata nel tempo).
La frase di Martini mi fece ridere, anche perché io Bocchi lo conoscevo già di persona - galeotto fu il Far East Film Festival di Udine - e già eravamo amici. Ma mi parve anche un modo - molto ruvido e paradossale, in perfetto stile Martini - di esporre una verità innegabile: Bocchi, che da qui in avanti chiameremo per comodità PMB, ha sempre avuto sul cinema e sui film uno sguardo particolare, unico, decisamente poco omologato. Uno sguardo personale, figlio di una ricerca sul cinema altrettanto personale, di una innegabile originalità di pensiero. E magari sì, a volte anche della voglia di distinguersi, ma sempre in maniera motivata, ragionata, mai velleitaria.
Con PMB negli anni ho condivio un mestiere, un lungo percorso al Torino Film Festival e innamoramenti cinematografici, e con lui ho avuto nette divergenze di opinione. Perché il lavoro di PMB, e il modo in cui lo fa, la passione con la quale porta avanti le sue crociate, e la sua convinzione sincera di essere sempre e comunque nel giusto, forte di un’invidiabile autostima, può trascinarti o può portare a dei netti rifiuti. Non a caso, prima ancora che esistessero i social, PMB - oggi molto attivo su Facebook - è stato un personaggio, oltre che un critico, capace di creare attorno a sé un circolo di fedeli lettori, di estimatori delle sue opinioni, di fan della sua attitudine e della sua pratica critica (che pure, in alcune frange estreme sembrano più adepti a un supposto verbo bocchiano).
Ho ritenuto necessaria questa introduzione non solo per presentare, forse, a un pubblico più vasto le modalità, prima ancora che il pensiero, di PMB, e anche perché mi pareva giusto contestualizzare anche con dell'autobiografia e del coinvolgimento in prima persona prima di affrontare il contenuto di un libro che, per stessa ammissione del suo autore, è anche composto e fertilmente contaminato da riflessioni che nascono dall’autobiografia - spettatoriale - del suo autore.
In qualche modo, e forse finalmente, PMB concede a sé stesso e al suo lettore l’ammissione esplicita di uno sguardo che, pur analitico, è anche soggettivo, come è giusto che sia, e di un pensiero che è perfino in qualche modo emotivo, e non solo chiaramente intellettuale.
Che sia figlio della coesistenza di queste due anime, il libro edito da Lindau che PMB ha dedicato al genere che ama più di tutti gli altri, l’horror, lo si capisce fin dal titolo: “So cosa hai fatto - Scenari, pratiche e sentimenti dell’horror moderno”. Ci sono gli scenari, le pratiche (quindi l’analisi), ma anche e forse soprattutto i sentimenti. Dell’horror, degli horror, di PMB.
Non a caso, anche rispetto a quanto pubblicato in precedenza da PMB, “So cosa hai fatto” è un testo decisamente (e felicemente) poco accademico. In maniera rivelatrice privo di una bibliografia (ma con un richiamo importante ai commenti audio e agli altri extra delle edizioni fisiche home video dei film, nota passione dell’autore) e soprattutto di note. PMB, che cita spesso e volentieri sé stesso, cita pochissimi altri studiosi (tra questi, mi piace sottolineare il nome di Barbara Grespi, una delle più attente e intelligenti studiose delle immagini in movimento contemporanee).
PMB è chiaro da subito, dalle primissime righe della sua introduzione, riguardo la struttura e l’ideologia del suo libro, e le sue ambizioni: “So cosa hai fatto è una storia del cinema horror”, scrive, “ma non è una storia del cinema horror consueta. Quantomeno non come le storie del cinema horror finora concepite. Delle storie del cinema horror questo libro rispetta la cronologia, e cerca altresì di rispettare i temi a cui le storie del cinema horror abitualmente aderiscono. Le similitudini, però, finiscono qui”.
“So cosa hai fatto” fa partire la sua idea di modernità dell’horror con l’alba degli anni Ottanta e arriva fino ai giorni nostri; riassume in un primo capitolo le fondamentali cesure degli anni Settanta, quelle incise nella carne del genere e del cinema da autori come Romero, Hooper e Carpenter (solo per citare qui gli americani), che hanno cambiato le regole del gioco, per poi lanciarsi nel vivo della sua analisi in trenta successivi capitoli ognuno dei quali prende le mosse da un titolo. E, per capire quanto PMB la voglia fare strana, questa storia dell’horror moderno, basterebbe vedere come tra i titoli scelti dall’autore come punto di partenza di ogni analisi ci sono sì film noti come Cure di Kyoshi Kurosawa, Calvaire di Fabrice du Weltz, It Follows di David Gordon Mitchell, o addirittura mainstream come Doctor Sleep di Mike Flanagan, L’uomo invisibile di Leigh Whannell o Nope di Jordan Peele; ma anche tanti altri decisamente più underground o inattesi, da Nekromantic di Jörg Buttgereit a Dark Harvest di David Slade, passando per Notte profonda di Fabio Salerno, Subconscious Cruelty di Karim Hussain, The Greasy Strangler di Jim Hopkins e addirittura un corto come Regret di Santiago Menghini.
A partire dai trenta film selezionati, PMB si lancia in ragionamenti sul genere, le sue traiettorie, le sue figure e i suoi temi che arrivano a toccare la bellezza di quasi seicento titoli (forse un po’ troppi, se condensati in circa 260 pagine di testo, e a volte l’impressione è quella di un elenco vagamente bulimico che può confondere il lettore che sicuramente non avrà negli occhi e nella mente tutti quei riferimenti, ma che d’altra parte può anche invitare olare al recupero e alla visione di tanti film).
E in maniera lenta ma progressiva, PMB fa entrare il suo vissuto, spettatoriale prima ancora che critico, nel testo. Nelle sue analisi riesce a trovare angolature insolite, e a illuminare con ragionamenti e intuizioni personali e brillanti non solo il lettore, ma tutta una materia che è calda, sia per la passione cinefila con la quale viene affrontata, sia per sua stessa natura.
“So cosa hai fatto” vive inoltre di una doppia, interessante tensione riguardo il genere e il cinema horror: da un lato è sempre consapevole, e sempre incline a ricordare quanto il genere sia, almeno dagli anni Settanta in avanti (ma in realtà anche da prima) una perfetta cartina al tornasole della società e del mondo in cui nasce, capace di riportare e spesso addirittura anticipare tensioni sociali e antropologiche, politiche e perfino psicologiche (quando non chiaramente psicanalitiche); dall’altra, PMB non perde occasione per rilanciare una sua contemporanea e probabilmente giusta ossessione, che è quella per la quale bisognerebbe smettere di valutare i film - non solo horror - per la loro capacità di portare avanti un tema, ma rimettere al centro dell’analisi critica, e forse anche storica, le immagini, la loro potenza, il loro significato.
Non sempre PMB, per sua natura, è incline, se non alla divulgazione, alla tassonomica messa a fuoco del concetto di “immagine cinematografica”, ma quello che intende è chiaro, anche per i non addetti ai lavori: e allora l’immagine è qualcosa da esperire e valutare sul piano dell’estetica, ma anche su quello del simbolismo, e dei suoi legami con il sistema della visione e della rappresentazione, nonché di quelli col soggetto della visione stessa. Sempre di più, in un mondo di immagini iperfetate che dilagano in ogni meandro nella vita pubblica, privata, culturale e politica.
In buona sostanza, e senza stare a spoilerare troppo, “So cosa hai fatto” è un libro interessante e scorrevole, non di rado assai ispirato, nel quale l’approccio, in fin dei conti, è anche e forse soprattutto umanista: nel senso che quel che emerge, dalla lettura complessiva, è l’attenzione che PMB mette nel comprendere, raccontare, descrivere e stabilire come l’horror si vada a incrociare con la soggettività (e qui, allora, ecco che torna a giustificarsi perfino analiticamente l’ingresso in prima persona dell’autore nel testo). “So cosa hai fatto”, prima ancora del discorso collettivo e sociale, mette l’individuo a confronto con l’horror, esamina come il genere spinga, descriva, sfidi e provochi la nostra psicologia e il nostro ruolo: sociale, politico, familiare e perfino identitario; va a puntare il dito lì nella stessa piaga nel quale l’horror già sta lavorando, quella di un soggetto messo sempre in netto contrasto, o ai ferri corti, con sé stesso e con la società che lo circonda. Un soggetto che l’horror racconta e problematizza, senza essere - nei casi migliori - né un semplice specchio né una facile risposta, figuriamoci una soluzione (anche per questo, ma non solo per questo, il capitolo dedicato a Notte profonda e a Fabio Salerno ha un che di commovente).
Ecco, l’horror raccontato da “So cosa hai fatto” - e c’è un’ulteriore spiegazione del titolo, allora, oltre a quella fornita da PMB nell’introduzione - è un horror che ci lancia una sfida. Sta a noi raccoglierla, e tentare (im)possibilmente di vincerla.
"So cosa hai fatto - Scenari, pratiche e sentimenti dell’horror moderno"
di Pier Maria Bocchi
Edizioni Lindau, Collana Il Grande Cinema
304 pagine, 23 euro