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Protagonista de L'Ultima Sfida, Gilles Rocca ripensa al passato: "Se non hai una ferita, questo mestiere non lo puoi fare"

Al Bif&st 2025 abbiamo incontrato Gilles Rocca, protagonista del film in concorso L’Ultima Sfida. Interpretando il capitano di una squadra di calcio, l’attore è tornato con la mente a quando sognava di diventare un asso del pallone.

Protagonista de L'Ultima Sfida, Gilles Rocca ripensa al passato: "Se non hai una ferita, questo mestiere non lo puoi fare"

Se per molti appassionati di calcio esiste "un solo capitano", che poi sarebbe Francesco Totti, per il regista Antonio Silvestre a indossare la fascia bianca al braccio è un personaggio inventato di nome Massimo De Core, che si accinge a giocare l'ultima partita della sua carriera e che è stato soprannominato dai suoi detrattori "Il perdente". Nonostante il suo impegno, De Core non ha mai portato a casa un trofeo e vuole vincere ad ogni costo, ma a minacciare l'esito della gara ecco che arrivano dei loschi figuri che lo ricattano a causa di un errore del passato. A raccontarci questa storia così vicina alla realtà è L'Ultima Sfida, che è stato presentato, in anteprima e in concorso, al Bif&st 2025, e che conquisterà le nostre sale il 3 aprile.

Interpretato anche da Michela Quattrociocche, Giorgio Colangeli e da Ivan Franek, L'Ultima Sfida incrocia il film sportivo con il thriller e riflette sull'involuzione di un mondo asservito ai media che ha reso i suoi campioni superstar ricchissime e viziate. Niente a che vedere, insomma, con gli anni '80 e '90, quando il mondo del pallone non era corrotto come poi è diventato. Una delle giovani promesse dei bei vecchi tempi è Gilles Rocca, che sarebbe diventato un grande giocatore se un incidente non avesse stroncato la sua carriera. L'attore ha subito investito le sue energie nella recitazione, ma interpretare Massimo De Core non dev'essere stato un compito facile. Delle difficoltà incontrate e delle emozioni provate è stato lui stesso a parlarci quando lo abbiamo incontrato proprio durante il Bari International Film&Tv Festival. Non lo conoscevamo di persona e ci hanno colpito la sua generosità, la sua devozione al lavoro e la sua sensibilità. "Fare questo film" - ci ha detto - "è stata un'emozione incredibile, perché quando mi è stato proposto, erano 20 anni che non giocavo più a pallone come professionista. Dopo l'infortunio, non ho voluto più sapere niente del calcio, quindi, quando è arrivata la sceneggiatura de L'Ultima Sfida, ho fatto un salto all'indietro nel tempo, perché tutte le cose che ho letto sul copione mi riguardavano da vicino, soprattutto la parte iniziale, quando Massimo parla della sua infanzia e di quando è andato via da casa lasciando la famiglia, gli amici e gli affetti. È un po’ quello che è successo a me: a 13 anni ho lasciato i miei genitori per fare il calciatore e perciò, già dopo le prime 10 pagine, mi sono trovato a rivivere tutte quelle cose che per tanti anni avevo quasi dimenticato, archiviato, buttato in un angoletto per non soffrire, perché comunque ho iniziato a tirar calci ad un pallone a 3 anni. Quando, 17 anni dopo, ho avuto l'infortunio, mi sono detto: "Ok, finito il sogno, finita la vita, finito tutto quello che volevo fare, adesso che succede? Così è cominciata la mia carriera da attore, perché fortunatamente mi sono appassionato alla recitazione".

Non credi che il fatto di partire da qualcosa di doloroso abbia aiutato il tuo lavoro di attore?

Certamente sì, è stata la cosiddetta "ferita" di cui mi hanno subito parlato quando frequentavo la prima scuola di recitazione. Mentre faceva una masterclass, il regista Stefano Reali mi ha guardato e ha sentenziato: "Se non hai una ferita, questo mestiere non lo puoi fare". All'epoca ero un ragazzetto di 21 anni fintamente spavaldo, di quelli che continuano a ripetere: "Va tutto bene, sono un figo, sono bravo e non mi importa di niente". Gli ho detto che di ferite non ne avevo, ma non era vero, e comunque la ferita del calcio mi ha aiutato tanto nel mio lavoro di attore e soprattutto mi ha fatto avere la consapevolezza che tutto può finire, perché quando tu sogni tanto una cosa, e questa cosa a un certo punto si esaurisce, non bisogna fermarsi e dire "Ce l’ho fatta". Per me è sempre la prima volta. Penso che sia necessario lavorare intensamente per poi creare una nuova opportunità. Certo, il destino va un po’ aiutato, e io mi sono sempre impegnato tanto nelle cose che ho fatto. A 30 anni sono diventato il protagonista di un film di Marco Risi. Pensavo che sarebbe stata la svolta della mia vita e invece ho solo guadagnato credibilità. A volte succede così: imbocchi un bel film e diventi il protagonista di una serie e di altri film, un po’ come è successo ad Alessandro Borghi e a Vanessa Scalera, che sono entrambi miei amici. Sono convinto che da un momento all'altro la vita di una persona possa cambiare. Basta saper aspettare".

Pensi che il lavoro di attore possa aiutare le persone a crescere?

Recitare equivale a scavare in continuazione dentro di noi, e più passa il tempo, più uno è insicuro. Ho cominciato i provini all'età di 20 anni. Ero piuttosto strafottente. Adesso ogni cosa che faccio mi provoca i brividi, e trovo che sia bellissimo, però ti poni tante domande, in particolare sul personaggio che devi interpretare, e quando cominci a scavare, in realtà cerchi le cose dentro di te e quindi fai autoanalisi.

Hai mai avuto un capitano nel calcio o nella vita? Esiste qualcuno che è stato una guida per te?

Devo dire che purtroppo, o per fortuna, sono sempre stato io il Massimo De Core delle situazioni in cui mi sono trovato, tanto sul campo da calcio quanto nel mestiere di attore. La passione che ho messo nell'interpretare Massimo De Core è la stessa che metto in tutte le altre cose, ad esempio nel fare una masterclass ai ragazzi che vogliono diventare attori. Per rispondere alla tua domanda, non ho mai avuto una persona che mi motivasse a fare qualcosa, forse perché sono andato via di casa quando ero molto piccolo e quindi mi sono dovuto motivare da solo.

Il che significa che non hai mai veramente chiesto aiuto. Per qualcuno è difficile…

Hai ragione: io non chiedo mai aiuto, è una cosa impressionante. L'unica persona con la quale parlo di problemi e dubbi è la mia compagna, perché per il resto non ho mai chiesto nulla a mia madre e a mio padre, per esempio. So di sbagliare, ma sono Capricorno ascendente Leone, quindi sono di coccio ascendente di coccio. Sono impulsivo, molto diretto e ho un carattere focoso che mi porta facilmente a scontrarmi con le persone. Però non voglio appesantirle, e se devo fare, che so, un trasloco, lo faccio da solo.

L'Ultima Sfida ci racconta un calcio brutto, guastato dalle scommesse e dai ricatti. Cosa pensi di questo calcio? Cosa detesti di più?

Detesto moltissime cose, infatti non ho nessun tipo di abbonamento a nessuna partita. Guardo pochissimo calcio, e quando lo guardo, mi vado a rivedere le cose di fine anni '90, quindi del periodo in cui giocavo. Mi accorgo che all’epoca c'era più romanticismo, un po’ come succedeva anche al cinema. Mi sembra che adesso si facciano i film con la convinzione che funzioneranno ma poi così non è, perché forse non si capisce cosa piaccia davvero alla gente. Fare un bel film è secondo me qualcosa di viscerale, che ti parte dalla pancia. Non lo puoi fare a tavolino, non puoi scrivere una cosa pensando che, se prendi l'attore del momento, le persone andranno al cinema. A volte, quando guardo una partita di calcio alla tv, mi dico: "Ma è un gioco della playstation o una partita reale?" Mi capita di guardare delle immagini del Real Madrid e di pensare: Come sono belli questi calciatori, ma sono veri?, perché è tutto finto, pettinato. Sembra quasi che non sudino. Ormai il calcio è soltanto un business e nemmeno il tifo è più quello di una volta.

Hai detto spesso che la bellezza non è stata un vantaggio per te…

Mi hanno detto: "Ma perché non vai a fare il tronista?". Io non voglio fare il tronista. La cosa di cui sono molto contento, adesso che ho 42 anni, è che più passa il tempo e più le cose migliorano, perché ormai ho smesso di essere il ragazzetto con il ciuffo figo. Forse sono diventato più accessibile per le persone, e credo che dipenda anche dal fatto che ormai mi conoscono, perché mi hanno visto a Ballando con le stelle, e quando fai Ballando con le stelle, poi ti prendono nell'Isola dei famosi, in Tale e Quale e così via. Tale e quale mi è piaciuto moltissimo, perché dovevo fare due o tre cose insieme e perché, per interpretare questo o quel personaggio, dovevo indossare delle maschere o comunque cambiare il mio viso. È stato in quell'occasione che il pubblico ha cominciato a dire: “Però! Questo qui è anche bravo, andiamo a vedere un po’ le cose che ha fatto!".

Fare L’isola dei famosi, il Grande Fratello Vip, eccetera non è rischioso per un attore?

È decisamente rischioso. La mia scelta di partecipare all'Isola dei Famosi, che poi è l'unico reality che ho fatto, è stata una scelta obbligata, nel senso che avevo appena vinto Ballando con le stelle e avevo scelto di fare Ballando invece dell’Isola. Devi sapere mi erano stati proposti tutti e due insieme con dei prezzi completamente diversi, nel senso che per l'Isola mi avrebbero riempito di soldi, però io ho scelto di partecipare a Ballando con le stelle perché c'era un elemento artistico, qualcosa che bisognava saper fare, e quindi è stata una scommessa. Dopo aver vinto Ballando, mi hanno riproposto di fare l'Isola. Era il periodo del Covid, e quindi il teatro e il cinema erano completamente fermi. Mi sono detto: "Che faccio: sto a casa e lascio passare questo momento di fama che mi ha portato Ballando, magari sperando in un cinema che non so se riaprirà presto? Così sono andato a fare L'Isola. È stata un'esperienza mistica, difficilissima, tostissima, dove sono stato messo veramente a dura prova. Poi mi è stato proposto il Grande Fratello per 3 anni consecutivi, ma ho detto no.

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