Michael Winterbottom apre con Shoshana, storia del mandato britannico in Palestina, Il Festival del Cinema Europeo
A inaugurare la ventiquattresima edizione del Festival del Cinema Europeo di Lecce è Michael Winterbottom con Shoshana, sulle origini del conflitto fra Israele e la Palestina. Il regista parla del film e dell’influenza della storia sugli individui e sulle relazioni interpersonali.
La Puglia, già da tempo, è terra di cinema, tanto italiano quanto straniero: per merito di chi abbraccia e trasforma in immagini la poesia delle sue terre e sempre di più grazie all'impegno dell'Apulia Film Commission. Il tacco del nostro stivale è anche culla di festival che celebrano la degnamente la settima arte, e fra questi ci piace molto il Festival del Cinema Europeo di Lecce, la cui ventiquattresima edizione si è aperta, questa mattina, nella cittadina barocca, alla presenza del direttore Alberto La Monica, del Sindaco Carlo Salvemini e del regista che inaugura la kermesse. Già destinatario dell'Ulivo d'Oro alla carriera nel 2018, Michael Winterbottom porta a Lecce il suo nuovo film Shoshana, che uscirà nelle nostre sale, anche se non nell’immediato, con Vision Distribution.
Michael Winterbottom è innamorato della Puglia e non solo ha una casa tra Ceglie e Cisternino, ma nella regione degli ulivi e delle masserie ha anche ricostruito la Tel Aviv fra le due Guerre Mondiali che fa da sfondo a una storia vera, una piccola storia privata che si mescola alla storia con la "s" maiuscola, che poi è quella dell'eterno e irrisolvibile conflitto fra Israele e Palestina: "Abbiamo girato Shoshana in Puglia" - spiega il regista britannico. "Brindisi, Ostuni e Torre Canne sono state la nostra Tel Aviv, Taranto è diventata Jaffa e Lecce si è trasformata in Gerusalemme. E se siamo venuti qui, è perché gli uliveti, il paesaggio, il mare e le architetture ricordano da vicino la Palestina. Anche se dovevamo lavorare, siamo stati benissimo. Le riprese si sono rivelate un'esperienza fantastica sia per la troupe inglese che per quella italiana, e confesso che mi piacerebbe tantissimo realizzare altri film in Puglia".
Dalla Puglia al cinema italiano il passo è breve, almeno per noi giornalisti, e viene quindi naturale chiedere al regista di Wonderland se abbia in qualche modo risentito dell’influenza dei nostri filmmaker: "Un cineasta viene influenzato da altri film e altri autori soprattutto nella prima parte della sua carriera" - risponde - "e quindi quando è giovane, o addirittura prima di diventare un regista, ad esempio durante l'adolescenza. Per quanto mi riguarda, ho visto ad esempio i film immediatamente successivi alla Seconda Guerra Mondiale, e dunque i grandi capolavori del neorealismo, e poi le opere di Fellini, Antonioni e così via. Man mano che si diventa grandi e si cominciano a girare i propri film, l'influenza di ciò che hanno fatto gli altri prima di noi diminuisce, ed è successo anche a me".
Poi il regista spiega come nascano e siano nati i suoi film: "Ormai sono molti anni che faccio film e funziona sempre nella stessa maniera: se qualcosa cattura il mio interesse, può diventare argomento di un film. Ciò significa che il punto di partenza può essere ogni volta diverso. Laddove c'è un tema interessante, che mi offre spunti di riflessione e mi fa venir voglia di creare qualcosa di concreto, ecco che decido di mettermi al lavoro su un film. A quel punto può cambiare la modalità con cui un argomento viene affrontato, e quindi attraverso un film di finzione o un documentario, e anche il genere di appartenenza. Insomma per me non esiste un unico film che voglio fare: esistono solo cose che mi incuriosiscono per le più disparate ragioni e che magari faccio decantare e su cui torno in seguito".
Un esempio di questo tipo di approccio è lo stesso Shoshana, rimasto in una specie di limbo, o calderone delle idee, per diversi anni: "Nel caso di Shoshana tutto è cominciato 15 anni fa, quando sono andato al Festival del Cinema di Gerusalemme per ritirare un premio per un film che avevo fatto. In quell'occasione mi è capitato di leggere un libro intitolato 'One Palestine Complete' e scritto da uno storico israeliano che raccontava in maniera dettagliata l'occupazione della Palestina, negli anni Venti e Trenta del secolo scorso, da parte delle truppe britanniche. Il tema ha destato la mia attenzione, l'ho approfondito e mi sono reso conto che mi ricordava la permanenza dell'esercito americano in Iraq e Afghanistan. Quando poi si è trattato di mettere su carta il film, ho deciso di prestare particolare attenzione ai due personaggi principali Shoshana e Tom Wilkin, al loro legame e al modo in cui l'estremismo politico influenzava l'andamento della relazione sentimentale. Il tema centrale del film dunque è cambiato e ha impiegato parecchio tempo a prendere la sua forma definitiva".
Se Michael Winterbottom preferisce non rispondere a una domanda sullo stato di salute dei film europei, può comunque dire la sua sulla produzione inglese, di cui è certamente uno dei massimi rappresentanti, soprattutto quando si tratta di quel cinema sociale e/o politico che lo avvicina a Ken Loach e Mike Leigh: "Credo che il cinema inglese stia andando un po’ in un'unica direzione. Stranamente ha sempre avuto la tendenza a non essere troppo europeo, cosa che mi riesce difficile capire perché io adoro il cinema europeo, che poi è una delle ragioni per cui sono diventato regista. L'Inghilterra ha sempre strizzato l'occhio al cinema americano, e questo per una ragione principalmente economica. Il problema del cinema inglese è che, qualunque sia il film che si vuole fare, è necessario ottenere finanziamenti dagli Stati Uniti. Una delle cose fantastiche del mio nuovo film è che siamo stati finanziati da Vision, e quindi Shoshana è un film più italiano che inglese, ed è una cosa che mi ha fatto davvero piacere".
Michael Winterbottom è già stato in Palestina con il suo cinema, perché ha co-diretto un documentario sulla Striscia di Gaza, e se è vero che ha firmato thriller, film di fantascienza e commedie, la realtà è sempre stata per lui un riferimento forte. L'ha osservata numerose volte attraverso l'obiettivo della sua macchina da presa, e questa posizione privilegiata non lo ha portato a una stilizzazione o a un allontanamento, ma a un'idea precisa di ciò che intende comunicare allo spettatore: "Che si facciano dei film, che si scrivano dei libri, che si lavori nel campo del giornalismo, molto dipende dalla relazione che si crea con il mondo esterno, e quindi il punto di contatto può essere diverso. Può essere molto personale oppure partire da qualcosa che sentiamo e vediamo in televisione, magari al telegiornale. Penso che il processo filmico non sia separato dal resto della vita, credo anzi che sia 'una parte della conversazione', perché è frutto anche delle relazioni che si stabiliscono nella quotidianità. Il messaggio che spero di far passare attraverso i miei film è che i rapporti umani vengono influenzati da ciò che succede intorno, perché le storie dei miei personaggi non sono storie individuali, avulse dal contesto politico e sociale. Al contrario è tutto interconnesso, perché noi siamo il prodotto del mondo in cui viviamo, e quindi un film non è altro che la rappresentazione delle relazioni che esistono fra le persone e fra le persone e la società, oltre che del modo in cui tutto questo influisce sulla vita di ognuno".
Quando Michael Winterbottom parte da fatti realmente accaduti, cerca in ogni modo di essere fedele alla verità e di non giudicare ciò di cui racconta: "Come sapete, ho attinto spesso dalla storia, e anche in Shoshana è stato molto importante per me è essere il più onesto, preciso e accurato possibile, rispettando ciò che realmente è accaduto. All’interno del mio ultimo film abbiamo una serie di personaggi politicamente schierati, per esempio Shoshana è molto a sinistra, mentre Stern ha una visione diametralmente opposta. Terminata la post-produzione, abbiamo mostrato il film sia ai parenti di Shoshana che a quelli di Stern, ed entrambe le famiglie hanno apprezzato l'accuratezza della mia rappresentazione, e ne sono stato felice. Ci tengo moltissimo a non intervenire sulla realtà, a non interpretarla alla mia maniera e ad essere sempre preciso".
Winterbottom non ci tiene ad avere un pubblico di fedelissimi che si identificano con la sua visione delle cose e che lui sta bene attento a non deludere. No, a chi va al cinema a vedere i suoi film il regista chiede altro: "Ciò che vorrei che il pubblico facesse è mantenere la mente aperta, quindi arrivare in sala non con un 'set' di aspettative sempre uguali ma con la voglia di scoprire come evolverà un racconto. Il mio cinema è sempre in movimento. Se mi domandate a che punto della mia carriera io sia, non so rispondere, so solo che, una volta fatto il mio primo film, che ha richiesto diverso tempo, sono semplicemente passato da un progetto all'altro, proprio come voi giornalisti avete scritto, a seguire il vostro primo articolo, un secondo articolo, un terzo, e così via".
Ha 62 anni Michael Winterbottom, ma ha sempre l’aria di un ragazzo, forse perché indossa un paio di jeans, una giacca sportiva e un paio di All Star azzurre, o magari perché ha il viso da ragazzino dispettoso. Sorride alle persone e non dà mai risposte scontate, e sa fare anche la televisione. La sua ultima chicca è la miniserie tv This England, nella quale Kenneth Branagh è Boris Johnson ai tempi della pandemia di Covid, e se il regista ha voluto dire la sua sull'ex Primo Ministro inglese e ha raccontato l'inizio di una guerra che attualmente è diventata una carneficina, preferisce non pronunciarsi sulla monarchia britannica, nemmeno quella rappresentata in The Crown. Tutto ciò lo rende interessante e mai scontato. Cosa ci riserverà prossimamente non può proprio dircelo, ma si lascia scappare una mezza frase a proposito di un set nell'Italia settentrionale. Non insistiamo, perché ci basta aver carpito tante inaspettate informazioni su Shoshana.