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La seconda vita: intervista a Giovanni Anzaldo, attore gentile che a vedersi gigantesco sullo schermo si spaventa

Giovanni Anzaldo è protagonista, insieme a Marianna Fontana, de La seconda vita, che è stato presentato al Bif&st 2024 e porta la firma di Vito Palmieri. C'eravamo anche noi nella città pugliese e abbiamo intervistato l'attore.

La seconda vita: intervista a Giovanni Anzaldo, attore gentile che a vedersi gigantesco sullo schermo si spaventa

È in sala da qualche giorno, ma noi lo abbiamo visto in anteprima al Bif&st 2024, La seconda vita, opera prima di Vito Palmieri che affronta il tema della giustizia riparativa e della vita dopo il carcere. Titolo della sezione competitiva ItaliaFilmFest, di cui è stato il film d'apertura, vede protagonisti Marianna Fontana e Giovanni Anzaldo. Lei è Anna, una donna di 30 anni appena uscita di prigione che cerca di cominciare una nuova vita in una piccola città di provincia. Lui, invece, interpreta Antonio, il figlio del fabbro locale. Ognuno si rende conto che l'altro potrebbe essere la sua chance di felicità, ma il passato di Anna è molto ingombrante e per lei il giudizio (negativo) degli altri è sempre in agguato.

Al Bari International Film Festival abbiamo incontrato Giovanni Anzaldo, torinese di origini siciliane che ha recitato per il cinema e la TV. Tra i suoi film ricordiamo Razzabastarda, Romanzo di una strage, Il capitale umano, Non è un paese per giovani, Ti mangio il cuore. Mentre il Salone Margherita, dove si tengono le conferenze stampa del Bif&st, si riempiva, abbiamo intercettato Giovanni, abbiamo afferrato due sedie e ci siamo avvicinati a lui per l’intervista. L'avevamo già incontrato qualche volta e, siccome il suo personaggio è timido e introverso, gli abbiamo chiesto di raccontarci il suo lavoro su Antonio:

"Il mio è stato un lavoro sulla periferia" - ha risposto - "una periferia anche umana, che è uno di quei luoghi potenzialmente molto belli che però hanno difficoltà a lasciarsi scoprire, e quando arriva un estraneo, c’è sempre una sorta di rottura, che poi coincide con la scoperta dell’altro. Antonio io lo vedo così. Ha difficoltà ad aprirsi, e quando nella sua vita arriva questa donna che ha un segreto e che viene da fuori, improvvisamente nasce dentro di lui una possibilità di incontro che non aveva certo previsto. D'altronde lui vive con il padre, lavora con il padre e non ha esattamente una vita fatta di sogni. Non vuole neanche rischiare di sognare, e infatti suo padre gli dice una frase bellissima: 'Tu devi decidere se vuoi essere tranquillo o vuoi rischiare di essere felice'. Il rischio associato alla felicità è una cosa che a me piace molto, e quindi diciamo che a un certo punto Antonio rischia perché desidera la felicità. Mi piace molto la metafora della campana rotta che Antonio deve riparare. La campana rappresenta ciò che fa rumore per tutto il paese e per tutte le città: noi veniamo svegliati dalle campane. La campana richiama il giudizio, e Antonio ha una paura incredibile del giudizio degli altri, ma a un certo punto decide di aggiustare la campana, perciò di risuonare anche agli occhi degli altri"

Indagare l’interiorità di un personaggio così chiuso in sé stesso dev’essere stato molto stimolante. Hai "trovato" subito la sua timidezza?

Devo dire di sì, perché anche io sono timido, anche se cerco continuamente di mascherarlo. E tuttavia, se mi immagino molti anni fa, mi ricordo come una persona per cui era davvero una lotta parlare. Ad essere sinceri, è sempre una battaglia. Alla fine per miracolo escono fuori delle parole, ma dentro è un casino, quindi Antonio mi ha dato la possibilità di portare un po’ più in superficie questo mio aspetto.

Per concentrarsi sul set, Marianna Fontana si mette le cuffie e ascolta la musica. Tu invece cosa fai?

Il mio modo di concentrarmi è non concentrarmi, perché se mi concentro, in quanto timido faccio casino. Se mi concentro, mi chiudo a riccio e quindi non esco fuori, e allora mi devo distrarre, e mi dispiace per Marianna, ma sono riuscito a distrarre anche lei, dimostrando l'inutilità del famoso "metodo cuffiette".

Il cinema ti ha aiutato ad aprirti? A superare le tue insicurezze?

Mi ha dato una grande mano, però ha dato anche un grande potere al mio mondo interiore, nel senso che, nel momento in cui recito, da una parte comando io e dall'altra comanda quel mondo là. Secondo me è sempre bello portarsi dentro un segreto. Anche chi è sfacciato si porta sempre dentro un segreto, insomma non la diciamo mai tutta. La recitazione ha il grande pregio di rendere evidente questa ambivalenza che abbiamo, o meglio che c'è in qualsiasi essere umano.

Quanto temi il giudizio degli altri? E poi... sei giudicante nei confronti di te stesso?

Tanto, tantissimo, non passa mai. Ieri ho assistito alla proiezione al Teatro Piccinni e vedermi sempre gigante mi ha terrorizzato come tutte le altre volte. C'era una spettatrice accanto a me che mi ha chiesto: "Ma tu te lo sei visto il film?", perché ero nascosto dentro la maglia. Per me è tremendo rivedermi, e lo sarà sempre, però cerco di farci pace.

Ma è sempre così?

Dipende. Ci sono giornate in cui magari mi sento un gran figo e dico: "Uaaaa, fantastico!", mentre magari il giorno dopo penso: "Oddio, Giovanni, sei un cane tremendo". Mi capita così, non posso che rassegnarmi.

Ti sei documentato sul reintegro in società dei detenuti, magari per comprendere meglio il personaggio di Anna?

No, è non perché sono pigro, ma perché, non essendo il mio personaggio legato a quella realtà, meno sapevo e meglio era, perché io mi trovo di fronte a un mondo che non conosco, e conoscerlo mi avrebbe condizionato. Antonio doveva essere all'oscuro del passato di Anna, il che, lo ammetto, era per me anche un alibi per non studiare…

Ne La seconda vita a interpretare tuo padre è Nicola Rignanese. Credo sia la prima volta che lo vedo non nei panni di un mafioso…

Hai ragione! Nicola Rignanese è meraviglioso, devo dire che è nata anche un'amicizia, per un periodo abbiamo anche vissuto vicini, Nicola è fantastico, è un attore straordinario. Le cose che mi ha detto nel ruolo di padre mi hanno molto emozionato e, se hanno risuonato, è perché lui vibrava in una maniera incredibile. Lo stimo tanto.

Antonio ha una bella manualità. Se tu non fossi diventato attore, avresti fatto qualcosa di intellettuale o di manuale?

Avrei fatto qualcosa di intellettuale. Nelle cose manuali sono un disastro. Forse diventerei scrittore, perché adoro scrivere. Altrimenti, siccome i miei avevano un negozio di alimentari e quello è un contesto che riconosco come familiare, potrei al massimo affettare il prosciutto e tagliare il formaggio. Per il resto no. Non mi dispiacerebbe costruire delle cose, ma non credo che ne sarei capace. Purtroppo la manualità non è una cosa che si acquisisce.

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