Il mohicano e l’orgoglio di un territorio: intervista al regista Frédéric Farrucci
L'ultimo pastore del litorale corso o quasi, che si rifiuta cocciutamente di accettare un sacco di soldi dagli speculatori mafiosi per vendere il suo territorio di pascolo. Un resistente comune raccontato nell'avvicente storia di orgoglio Il mohicano. Ne abbiamo parlato con il regista Frédéric Farrucci.

Un western notturno, un uomo in fuga fra i muretti bassi della vegetazione brulla di un’isola affascinante, ma per chi non la conosce anche misteriosa e ancestrale come la Corsica. Ma soprattutto un film politico, addirittura sulla lotta di classe di difende il territorio e le sue tradizioni. Il mohicano, la storia dell’ultimo pastore del litorale, è diretto da Frédéric Farrucci, e dopo la presentazione al Trento Film Festival è in sala per No.Mad Entertainment.
Opera seconda del regista corso, vede come ottimo protagonista Alexis Manenti, vincitore del premio César come miglior attore esordiente per I miserabili), che interpreta Joseph, pastore di capre sul litorale della Corsica che si oppone con tutte le sue forze alla minaccia della mafia che vuole acquistare la sua terra per realizzare un progetto immobiliare.
Abbiamo incontrato a Roma il regista, Fédéric Farrucci.
“Per me era molto importante parlare del mio territorio, evocare oggi la Corsica contemporanea. Ha subito molte narrazioni nel corso dei secoli, provenienti dall'esterno e quindi piena di cliché. Nella letteratura, nell'attualità, anche nel cinema stesso e per me, come corso, è molto importante riprendere l’immaginario legato alla nostra isola e cercare di portare una visione più complessa, meno esterna. Viviamo questo territorio, lo respiriamo, lo sentiamo, quello che sta succedendo oggi mi interessa enormemente. Per ora mi dedico al cinema solo da un punto di vista politico, è quello che mi interessa davvero. Volevo affrontare l’omologazione del territorio che sta avvenendo con il turismo di massa, mettere in scena la lotta di classe tra un proletariato rurale e questa ondata ultraliberale che spinge verso la perdita di specificità delle popolazioni. Evocare la Corsica per me è qualcosa di naturale, mi sento legittimato a dare un punto di vista politico, e ho la sensazione che quando si affronta qualcosa di molto locale si possa parlare anche a persone molto lontane. Per me è stata molta toccante la prima mondiale, a Venezia, dove c'erano molti veneziani in sala che ci dicevano: “parla molto a noi questa storia, perché 50 anni fa eravamo 500.000, ora non siamo più di 50.000, non ci definiamo più abitanti di Venezia, ci definiamo resistenti”. Mi ha commosso e colpito moltissimo, perché quello che volevo fare era proprio un film di resistenza. Si può ancora resistere”.
Quanto era importante per lei mescolare l'aspetto di genere, la storia di un uomo in fuga, con quello più politico, rappresentando tutti i punti di vista della Corsica di oggi?
Joseph è un uomo di buon senso, non giustifica però mai le ragioni del suo rifiuto, ma se ne assume la responsabilità. Mi interessava avere, un doppio, una figura femminile più giovane e riflessiva, che è diventata la cugina che fuori stagione vive a Parigi, affinché desse un contenuto politico a questo rifiuto, e cercasse di trasformare questa lotta singolare, individuale, in una lotta collettiva. Come spettatore non mi piace quando i messaggi politici vengono sbandierati in modo letterale e frontale. Mi piace molto il genere come forma di cavallo di Troia per veicolarli, e il western mi sembrava giusto per questo territorio, anche in termini estetici, con la vegetazione brulla, la stalla di legno, un uomo che va a far pascolare le capre con il suo quad. Mi sembrava di vedere immagini di un western. E poi ci sono anche aspetti tematici, il conflitto territoriale e l'aspetto leggendario, dei veri pilastri del western, in cui spesso si mettono in scena uomini che sono leggende all'inizio del film o che lo diventano, con la mitologia popolare che esalta come leggende individui provenienti dal banditismo, dalla lotta indipendentista. Mi piaceva il fatto che si costruisse una sorta di leggenda attorno a quest'uomo. Ma non volevo fare un film completamente fuori dalla realtà, il pericolo del genere, e allora ho filmato in maniera documentaristica quel territorio e le persone. Usando anche persone della vita reale, non attori professionisti.
Nel film ci sono piccole sfumature, come gli accenti differenti, che dimostrano come la Corsica non sia un blocco unico, ma con differenze interne, per esempio fra nord e sud.
Avevo davvero voglia di mostrare che questo territorio è complesso. Gli antagonismi si giocano all'interno, il nemico non viene da altrove ma è interno alla Corsica, e questo mi ha aiutato a essere corretto nei confronti di questo territorio. All'inizio del film si parla la lingua corsa del sud, mentre quando si va in Alta Corsica si usa la lingua del nord. Era importante cogliere queste sfumature, voglio radicarmi nel tipo di realtà che racconto. A volte vedo film ambientati in Corsica e sento le cicale, per esempio, ma in Corsica non ci sono cicale. Appena le sento, esco dal film. Ho bisogno di essere molto preciso riguardo a questo territorio, che è il mio.
Ma allo stesso tempo non racconta il folklore arcaico di una terra, ma ci sono anche i social network, la tecnologia. Nella resistenza politica di chi rivendica il rispetto del territorio non si rifiuta la modernità.
È vero, mi piace molto quello che dice, Joseph è un eroe quotidiano, ma banale, in realtà. Non è allenato e non ha il fisico, soffre mentre corre. Si difende come può, con armi di fortuna che trova sul posto. Non volevo creare un mito attorno a un superuomo, ma che un mito nascesse da un uomo banale che, in un momento dato, fa qualcosa di estremo, essendo capace di dire no. Mi piaceva anche che sua nipote fosse consapevole dell'importanza delle sue origini e allo stesso tempo radicata nella modernità e pronta a utilizzare strumenti tecnologici molto efficaci, perché le reputazioni si fanno e si disfano in 24 ore su Internet e sui social network. Mi sono chiesto come creare una leggenda in poco tempo e mi è sembrato interessante trattare questo tema attraverso i social network.
Come sono andare le prestazioni del film in Corsica?
Ho molto sentito la responsabilità di evocare le donne e gli uomini della mia isola
Non c’è la giustificazione di dire, è colpa di Parigi, ma è un “nostro” problema.
Lo stato interviene, perché c'è anche la polizia, e ci ritroviamo a dover regolare i conti tra di noi anche perché la giustizia non viene applicata come dovrebbe. Ma ci sono ancora persone che vogliono preservare ciò che è importante preservare, persone che sono radicate nella terra. La reazione al film è stata molto intensa. Ho sentito una dimensione catartica nel film. Fin dalla prima proiezione ero molto ansioso di vedere come sarebbe stato accolto. È stato accolto molto bene, con entusiasmo. La gente aveva davvero bisogno di parlarne, dopo le proiezioni. Il film ha fatto bene, è stato un pretesto per aprire un dibattito. Il tour che abbiamo fatto poi in Corsica è stato molto emozionante, la gente aveva bisogno di parlare delle loro esperienze in relazione a ciò che sta succedendo, alla violenza mafiosa, alla perdita di unicità del territorio che temiamo enormemente. Per me è un film sulla lotta di classe, tra il proletariato rurale e l'ultraliberalismo. E la mafia per me è un sintomo di questo ultraliberalismo.