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Amanda e la spassosa ricerca di un’amica: incontro con Carolina Cavalli

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Una delle opere prime più convincenti e rinfrescanti del giovane cinema italiano di questi mesi è senz’altro Amanda di Carolina Cavalli, con protagonisti Benedetta Porcaroli, Galatea Bellugi e Michele Bravi, che dopo la presentazione a Venezia e Toronto arriva nelle sale dal 13 ottobre. Abbiamo intervistato la giovane regista.

Amanda e la spassosa ricerca di un’amica: incontro con Carolina Cavalli

Un sorriso schivo, dinoccolata e timida. Dimostra meno dei suoi 31 anni e assomiglia molto alla protagonista del suo film, Amanda. Carolina Cavalli ha presentato la sua opera prima a Venezia (e poi a Toronto) e accompagna dal 13 ottobre l'uscita nelle sale, distribuito da I Wonder Pictures.

Un film accolto con calore, specie dalla critica internazionale, che racconta di Amanda, 24 anni, che non ha mai avuto amici. Averne diventa il suo desiderio più grande, arrivando al punto di convincere la figlia di un’amica della madre, con cui passavano del tempo da neonate, di essere migliori amiche. 

Amanda è prodotto da Annamaria Morelli e Antonio Celsi per Elsinore Film, Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa per Wildside, società del gruppo Fremantle, Moreno Zani e Malcom Pagani per Tenderstories, in collaborazione con Charades e I Wonder Pictures. Protagonista assoluta, nel ruolo del titolo, è Benedetta Porcarolialla sua migliore prestazione in carriera. Insieme a lei Galatea Bellugi, Michele Bravi, Monica Nappo, Margherita Maccapani Missoni e Giovanna Mezzogiorno.

Abbiamo parlato del film con Carolina Cavalli, in occasione della Mostra del Cinema di Venezia. Ci ha raccontato come per lei sia stato “tutto nuovo, non sono abituata, non me l’aspettavo. Ti immagini che Venezia sia grande, ma non ti immagini quanto. Ho iniziato da sceneggiatrice grazie al premio Solinas, dove ho partecipato con un progetto precedente, Mi hanno sputato nel Milkshake, Da quel momento ho lavorato per altri registi e soprattutto per la televisione. Avevo proposto questa sceneggiatura alla mia produttrice, è lei che mi ha proposto di dirigerla. Inizialmente ho detto di no, poi ho visto che stavano seriamente cercando qualcun altro e ci ho ripensato. Quando ti immagini qualcosa sulla carta devi analizzare anche i dettagli, conoscere le regole di ogni fase della realizzazione di un film. La regia è solo quella immediatamente successiva".

Poi ha affrontato due fasi nuove: le riprese, con una riscrittura ulteriore, e quella definitiva al montaggio.

Non pensavo di essere molto adatta al set, e me lo chiedo ancora. È molto diversa la personalità di chi sta in casa a scrivere tutto il giorno, solo con le pagine e le parole rispetto a chi deve stare sempre in mezzo alla gente e gestire un set e un cast. C’è poi un senso di urgenza, devi portare a termine il lavoro. Scopri anche lati del tuo carattere. Non pensavo di essere una controllatrice ossessiva, ma lo diventi. È pazzesco. Usare la realtà rispetto all’immaginazione è un’esperienza molto formativa. Devi sfruttare i limiti, soprattutto del budget, per avere delle idee creative. Quelle a cui sono più affezionata sono venute proprio da dei limiti della realtà.

Amanda è un tuo alter ego, possiamo dirlo. Come hai lavorato con Benedetta Porcaroli, perché rendesse al meglio la tua creatura?

Va bene la mania del controllo, ma a un certo punto devi responsabilizzare qualcun altro. La protagonista è fatta di carne, ossa, sguardo, la sua intelligenza, il suo bagaglio. Durante i provini cercavo proprio la possibilità di intenderci su alcune sfumature che non riuscivo bene a spiegare e con Benedetta ho sentito questa sinergia. Abbiamo ovviamente anche lavorato prima delle riprese, preparando Amanda. Quello che non mi piace è cambiare i dialoghi. Lo spazio di libertà è la creazione del personaggio intorno al dialogo, basandoti su quello che dice. Se lo conosci bene, nelle sue mancanze e nei suoi desideri, poi si muove da solo. Mi sono presa la libertà di non avere una trama a priori.

Questo è interessante, considerando poi che è un’opera prima. Parlando di limiti, è un film in cui gli spazi hanno un ruolo cruciale. Vengono occupati con difficoltà da Amanda. 

Non sempre riempie la stanza, ma le appartiene. La sensazione di spaesamento era intuitivamente costante. È stato per me un grande privilegio non essere legata a uno spazio specifico. Così puoi scegliere luoghi della mente o concettuali rispetto ad altri esistenti e questo mi diverte moltissimo. Ho notato come spesso, per farli assomigliare a dei concetti, sono spazi vuoti e austeri, con oggetti inseriti in maniera così disordinata da ricordare la realtà.

Mi sembra rinfrescante come si parli di post adolescenti, definiamoli così, ma senza cercare una chiave drammatica, il silenzio dell’incomunicabilità. Ma si racconta il cinismo di chi diventa tale per insicurezza, vorrebbe sparire, cancellarsi da quelle stanze di cui parlavamo.

Penso che l’ironia, almeno nella mia generazione e in quelle più giovani di me, sia sentita molto come strumento per affrontare il disagio, le sofferenze, le insicurezze. In realtà non è un modo di affrontarle, in effetti, ma di evitarle anche se condividendole. È molto affascinante per me non essere esplicita, ma capace di esprimere qualcosa che tutti capiamo, come avviene nel cinema. Ti fa sentire parte di qualcosa.

Al di la del rapporto conflittuale con la famiglia, che è più tradizionale, ad Amanda manca la nuova famiglia che ci costruiamo, rappresentata dagli amici.

L’amicizia secondo me è la relazione più intelligente che abbiamo. L’amore certe volte è quasi imposto naturalmente, come quello di una madre per una figlia o verso persone che non c’entrano niente con te, quelle sbagliate. Invece l’amicizia si basa su una scelta, è una condivisione operosa. Spesso è sottovalutata, legata all’infanzia o all’adolescenza. Sono soprattutto gli adulti a non avere amici.

A proposito di adulti, Amanda fa parte della generazione che conosci meglio, la tua. I genitori come li hai raccontati?

La cosa che mi diverte degli adulti, di cui poi faccio parte, è che per adattarti alla società hai degli atteggiamenti che ti allontanano molto dalla tua natura. Siamo un po’ delle scimmie e delle spugne, ma amiamo metterci dei vestiti, essere formali, comportarci in un certo modo e ci vergogniamo di tante cose che sono naturali. La scelta di raccontare la borghesia offre molti spunti. In quell’ambito, questo tentativo di non essere umani, animali, raggiunge vette esponenziali.

Indossano tante maschere

E sono effettivamente divertenti, se ci pensi. Non scappi dalla tua natura, invecchi, fai la cacca e spesso sei imbarazzante, in un contesto che pretende che tu non sia umano.

A proposito di maschere, Amanda ha un vestito sempre uguale, una sua dimensione caustica e ironica. Se non erro hai parlato di Pippi Calzelunghe come riferimento. A me ha ricordato anche Mafalda o Lucy dei Peanuts.

Anche questi personaggi che hai citato usano i vestiti come armatura ma anche per essere uguali a sé stessi. Quando tutto è confuso, almeno tu sai riconoscerti. Il fatto di non cambiarsi è l’eliminazione di un atteggiamento superfluo, anche se per noi è normale. Una volta che trovi quello che ti sta bene addosso, non è poi così necessario cambiarlo. Ovviamente a molti piace, ad Amanda no.

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  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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