28 Anni Dopo, Danny Boyle a tutto campo: dalla Brexit alla BBC passando per la famiglia, il Covid e... i Teletubbies
Danny Boyle è a Roma per presentare il nuovo, atteso sequel di 28 giorni dopo. Ecco cosa ha raccontato di questo suo nuovo film, delle sue tematiche e delle sue ispirazioni. 28 anni dopo arriva nei cinema italiani il 18 giugno.

“Alex Garland e io parlavamo di un sequel di 28 giorni dopo da anni, ci siamo confrontati su tante idee diverse senza mai esserne troppo convinti. Poi Alex è venuto da me quella alla base di questo film e ci siamo decisi. Una storia che si svolge un cospicuo numero di anni dopo, che è più grande e ambiziosa e che la Brexit e i Teletubbies”.
A parlare così è Danny Boyle, a Roma per presentare con entusiasmo il suo atteso 28 anni dopo alla stampa italiana. È bene non fare troppi spoiler, ma i riferimenti alla Brexit, in questo film, sono piuttosto chiari, raccontando delle isole britanniche messe in quarantena dalla comunità internazionale dopo la diffusione del virus “della rabbia” avvenuta nel primo film. Quanto ai Teletubbies, sono i personaggi che aprono 28 giorni dopo, in un prologo notevole e misterioso, che solo alla fine del film – un finale aperto su un sequel già girato, in cui secondo Boyle arrivano “i veri mostri” - acquisterà un senso compiuto.
Dopo quel prologo, ambientato ai tempi dell’inizio dell’epidemia, 28 anni dopo arriva nel suo presente e racconta della comunità dove vivono i protagonisti: Jamie (Aaron Taylor-Johnson), Isla (Jodie Comer) e Spike (il giovane e bravissimo Alfie Williams), rispettivamente padre, madre malata e figlio di dodici anni che oramai è grande abbastanza per avere il suo battesimo di sangue e andare a uccidere il suo primo infetto.
Così Jamie e Spike lasciano la loro isola e raggiungono la terraferma, e così inizia un film che parte in un modo e che si trasforma in qualcosa di particolare e imprevedibile: “Il percorso del film è quello di Spike, che si presuppone debba seguire quello di suo padre e della sua comunità, un percorso molto tradizionale, legato al tradizionalismo, al nazionalismo degli anni Cinquanta, alla Brexit,” spiega il regista, “ma le sue decisioni riflettono invece le traiettorie del progresso. Spike va avanti da solo, verso il pericolo, certo, ma anche verso un progresso”.
28 anni dopo: il trailer italiano ufficiale
“28 giorni dopo raccontava di una rabbia letale ma che allora era in qualche modo occasionale, episodica: oggi la rabbia sembra l’impostazione di default della nostra società, e passa da 0 a 100 in un istante, senza sfumature intermedie”, ragiona Boyle su uno dei temi principale di questa serie. Uno dei motivi per cui questo accade è il nostro rapporto con le tecnologie, spiega, intendendo social e telefoni “che ci hanno dato molto potere, che ci fanno sentire importanti e al centro del mondo quando in realtà non lo siamo, e da questa realizzazione nasce la rabbia”.
E però, appunto, Boyle e Garland volevano andare oltre a questa idea che era stata di partenza 23 anni fa: “Volevamo fare un film che fosse incentrato sulla famiglia”, spiega. “Certo, 28 anni dopo parla di orrore e rabbia, ma parla anche della natura della famiglia, di cosa accade all’interno delle famiglie, come queste si possono fratturare e come possano essere luogo in cui si generano dei traumi. Volevamo che questo fosse un elemento sorprendente del nostro film, che ha una parte emotiva molto potente che ne espande le ambizioni”.
Le immagini che tutti noi portiamo ancora negli occhi dell’inizio di 28 giorni dopo, quelle della Londra deserta nella quale si risveglia il protagonista Cillian Murphy, sono state citate spesso e volentieri durante la pandemia, e quello che abbiamo vissuto, il nostro rapporto con quel virus lì, è entrato anche dentro 28 anni dopo: “Certamente vedere che in qualche modo quel che avevamo immaginato era diventato realtà ci ha dato una diversa percezione del pericolo, e ha in qualche modo alimentato la nostra nuova storia”, dice Boyle. “Ma ancora di più l’ha alimentata il modo in cui abbiamo iniziato a convivere e a adattarci al Covid: e così, nel film, per quanto riguarda i sopravvissuti era interessante vedere come man mano ci si prende sempre più rischi e libertà, e per quanto riguarda gli infetti è stato ancora più interessante vedere come il virus stesso si adatta e muta per rimanere in vita. Gli infetti di questo film, infatti, hanno imparato a cacciare, a lavorare in branchi, e ci sono dei veri e propri leader, che chiamiamo Alfa”.
E a proposito di leader: c’è chi ha letto in 28 anni dopo una storia di resistenza, ma Boyle – che pure parla di sé come di un ottimista, oltre che come di un curioso – non vede nella realtà leader di una possibile resistenza contro le tante deleterie derive del presente: “Parlo per il mio paese, ma non ne vedo. Credo però nella BBC: perché in un mondo sempre più difficile da comprendere, vuole parlare sempre il linguaggio della verità, senza avere posizioni di parte e ideologiche, e questo avviene perché non ha una proprietà, è un ente pubblico. La sua sopravvivenza è cruciale per credere in qualcosa”.