Un viaggio indimenticabile: Nick Nolte anziano con l'Alzheimer, la sua (vera) nipotina e l'Orient Express
Til Schweiger cerca una via sdolcinata e fantastica per raccontare la malattia.
Til Schweiger, uno di quelli di cui magari conoscete il nome, ma del quale probabilmente avete presente la faccia. È un attore tedesco molto utilizzato da Hollywood (è, tanto per intenderci, l’Hugo Stiglitz di Bastardi senza gloria) e, quando è a casa sua, fa anche il regista. Nel 2014, per esempio, aveva diretto un film di discreto successo intitolato Honig im Kopf, di cui questo Un viaggio indimenticabile è un remake in lingua inglese.
Il viaggio indimenticabile è quello che fanno nonno Amadeus, 76enne malato di Alzheimer, e la sua biondissima nipotina Tilda (che sono poi un borbottante e biascicante Nick Nolte dai capelli ricci e la vera nipote Sophia Lane Nolte). Un viaggio mica da ridere: o forse un po’ sì, perché tutto quello che accade a nonno e nipote tra Londra e Venezia, sull’Orient Express come sui conventi tra le Alpi, e anche tutto quello che a questo viaggio porta, è raccontato da Schweiger coi toni della commedia per famiglie. Come a cercare di sdrammatizzare una malattia che drammatica lo è per davvero.
Anche a guardarlo solo in superficie, con una fotografia caldissima che è a metà tra la pubblicità e Una lunga domenica di passioni, con un montaggio velocissimo che pare a tratti quello di action movie orientale, e con un’estetica contemporanea elegant-chic (la famiglia di Tilda è chiaramente ricca, come testimoniano casa e auto) che viene progressivamente contaminata sempre di più da look e riferimenti tipicamente anni Trenta, Un viaggio indimenticabile sembra rimandare a film come Paddington (citato esplicitamente). O, per rimanere in Germania, a Maga Martina o Bibi e Tina.
Solo che qui il protagonista non è un orsetto che parla e indossa cappello e cappotto, o una ragazzina apprendista streghetta, ma un un anziano con problemi di demenza. Che non è esattamente la stessa cosa.
Schweiger non sembra farsene un problema, raccontando di incredibili peripezie di viaggio come di drammi domestici con lo stesso sguardo vagheggiante e sdolcinato. Amadeus è uno che biascica, non si ricorda le cose, parla al telefono con una banana, getta il cibo a terra, distrugge macchine e giardini, incendia cucine e piscia nei frigoriferi: eppure il figlio Matt Dillon e la nipote sembrano prendere tutto a ridere, sdrammatizzano, come fa il regista; mentre noi che guardiamo ci immedesimiamo sempre di più con la nuora Emily Mortimer, che è l’unica dire che quel signore lì non è solo squinternato ma è malato, ha problemi ed è un problema. E che, anche come attrice, si fa in quattro per cercare di tenere in piedi la baracca.
Eppure, Schweiger è così sorridentemente sfacciato nel richiedere la sospensione dell’incredulità, il suo film così programmaticamente e volutamente dissennato, da lasciare sbalorditi per la capacità di rilanciare costantemente e mettere i suoi protagonisti - e noi che li seguiamo - di fronte a situazioni sempre più assurde. Con uno sprezzo del pericolo e del senso comune di fronte al quale, sinceramente, non si può non provare un qualche perverso ma sincero senso di ammirazione.
Allora ecco che in Un viaggio indimenticabile si alternano traslocatori nani dal cuore d’oro e camei fisiognomicamente incredibili come quelli di Claire Forlani, Eric Roberts e Greta Scacchi, e gesti di product placement talmente ovvi che che avrebbero fatto impallidire il Manfredi delle sigarette citato da Nanni Moretti in Ecce Bombo.
Ecco che la polizia italiana indossa i berretti con l’aquila di quella americana; per andare da Bolzano a Venezia di parla della necessità di attraversare una frontiera; e a pulire i bagni della stazione di Bolzano c’è un inserviente newyorchese che ha lasciato città e lavoro dopo l’elezione di Donald Trump, e che nasconderà nonno e nipote in fuga in un camion di pecore guidato da un indiano. Per non parlare di quello che succede a Venezia, con momenti vicini al surrealismo.
Il finale è quello che ti aspetti, col trionfo ovvio dei buoni sentimenti che stanno tanto a cuore a Schweiger (anche nella ricomposizione del rapporto tra la mamma e il papà di Tilda, sempre ricchissimi ma meno ossessionati dal loro lavoro, e coi tradimenti lasciati alle spalle), con la malattia che rimane una bizzarria. E il miele, alla fine, è dappertutto, e non solo nella testa, come recita il titolo originale del film.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival