Tutte le mie notti: recensione del thriller con Barbora Bobulova e Benedetta Porcaroli
Un noir tutto in una notte in cui due donne mettono a confronto la propria femminilità mentre sullo sfondo un mondo brutto continua a non fare sconti.
Una ragazza cammina per la strada di notte con un vestito da sera, una ferita sopra il ginocchio, l'aria sconvolta e il viso di bambola stravolto da un'espressione angosciata. Potrebbe essere l'inizio di un film di David Lynch o di una promettente serie tv americana in stile True Detective. Invece è la scena d'apertura di un'opera prima, un thriller psicologico nel quale i Manetti Bros., da cultori del noir in ogni sua declinazione, hanno creduto fortemente e che hanno voluto produrre, confidando nell'appeal delle atmosfere, delle unità di tempo e di luogo e nell'alchimia fra le due protagoniste femminili.
Tutte le mie notti, al di là del mistero che pian piano cerca di svelare, è infatti, in particolare, il rapporto fra due femminilità lontane, una spavalda nonostante la fragilità, l'altra incerta, forse negata, messa da parte per un'urgenza di anteporre l'altro a sé. Veronica e Sara condividono un breve viaggio in macchina e qualche ora in una villa lussuosa ma triste, e diventano ora antagoniste e ora complici, ora un avvocato interessato a difendere un cliente e una ragazzina che potrebbe mandarlo in prigione, ora una madre e una figlia, una figlia che che getta la maschera da dark lady per essere solamente un'anima persa, una bambola rotta, una di quelle ragazze che, come la Matilde di Youtopia, non esitano a vendere il proprio corpo: per noia, per soldi facili, forse per colmare un vuoto o "riparare" a un abbandono. Rispetto al personaggio del film di Berardo Carboni, la giovane donna di Benedetta Porcaroli non ha però un sogno da coltivare né un'innocenza da preservare, e ha una minore complessità psicologica, e di certo non trae giovamento da una recitazione a volte concitata ed eccessivamente teatrale, a cui Barbora Bobulova fa da contraltare con sobrietà e controllo.
Fotografa bene le sue muse di rara bellezza Manfredi Lucibello, ma nel filmarle si dimentica a tratti di avere fra le mani un thriller, genere che per definizione necessita di una concatenazione dei fatti chiara, a meno che dietro la macchina da presa non ci sia un autore visionario, un Lynch, appunto. Non che la tensione manchi in questo noir non privo di raffinatezze stilistiche, e l'inizio della vicenda è promettente, perché nulla è come sembra e Sara e Veronica seminano intriganti indizi sul destino di una ragazza che ha sniffato troppa cocaina. Ed è interessante - e giustamente desolante - il ritratto che il neoregista fa dell'umana solitudine, condizione squisitamente contemporanea che caratterizza sia i personaggi femminili che l'unico personaggio maschile della storia (Alessio Boni), meschino solamente un po’ e disperato e sprovveduto più che cattivo.
Anche lui rappresenta un mondo brutto e difficile nel quale per sopravvivere bisogna arrabattarsi, ma questo mondo, messo in ginocchio dalla crisi economica e popolato sia da uomini di potere che da animali braccati, Tutte le mie notti lo racconta troppo di fretta, preso com'è da Veronica e Sara. Così, quando alla fine, nella densa oscurità di un racconto d'autunno, intravediamo un raggio di luce, un po’ stanchi dei continui "non è come sembra" e di dialoghi quasi infiniti carichi di pathos, difficilmente riusciamo ad accomodarci nel soffice divano della speranza. E ancora meno siamo in grado di celebrare una seppur piccola catarsi.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali