Se mi lasci non vale: recensione della nuova commedia di Vincenzo Salemme
L'autore e attore napoletano cambia tono e forma un'ottima coppia con Paolo Calabresi.
Se i due protagonisti di Se mi lasci non vale vengono piantati in asso e costretti ad attraversare un calvario che sembra durare in eterno, paradossalmente la colpa potrebbe essere proprio di Julio Iglesias, che nell'omonima canzone diventata una hit di metà anni Settanta giustificava un cattivo comportamento maschile dichiarando impunemente che "quando un uomo tradisce, tradisce a meta", salvo poi non capacitarsi di essere stato scaricato dalla sua bella.
Ora, è probabile che i goffi Paolo e
Vincenzo non abbiano mai pensato al brano dell'ex calciatore del
Real Madrid (lo sapevate?) mentre erano fidanzati con Federica e
Sara, ma come lui appartengono a una categoria che Vincenzo Salemme dichiara essere sempre
più diffusa: quella dei maschi bambini che esitano a prendersi le giuste
responsabilità.
Certo, i due "compari" della sua storia non si
macchiano di bigamia, ma peccano comunque di incapacità di mettersi nei panni
delle compagne, di pazienza e di volontà di lasciarsi andare alle
emozioni.
Simili mancanze bastano eccome per giustificare un abbandono, oltre
che per gettare le premesse per un film godibile, onesto, gradevole e, per l'autore e
attore napoletano, decisamente diverso dal solito.
Sarà perché, sviluppando un'idea di Paolo Genovese e Martino
Coli, il regista non si è lasciato schiacciare dall'ansia di prestazione
che minaccia quasi ogni one man band; sarà perché temi come
l'amore e l'amicizia lo hanno liberato dalla schiavitù di portare al
cinema situazioni forti e comicità farsesca; sarà perché la
Salemme-maniera è stata contagiata dalla personalità
d'attore di Paolo Calabresi,
che nel ritratto di un uomo trafitto dal dardo di Cupido mette tenerezza,
ingenuità e grande realismo; sta di fatto che il caro Vincenzo
cambia stile e apre le porte a un cinema più sussurrato,
più aggraziato e più naturalistico.
Nel farlo, sta
però bene attento a non snaturarsi, perché in una vicenda che nella
trama iniziale ricorda Così fan tutte (emblema della
leggerezza nell'Opera), non manca di mettere la giusta dose di napoletanità.
Ma anche in questa operazione il comico si muove in maniera nuova, lasciando che a fare la parte del guascone, e in alcuni casi a rubargli la scena, sia Carlo Buccirosso, amico e collega di lunga data ritrovato di recente dopo un lungo divorzio artistico. Attraverso il personaggio di un attore che si finge prima autista e poi ricco signore, Buccirosso dichiara per così dire guerra all'iper-recitazione - oltre che alla superbia di molti teatranti. Entrando e uscendo continuamente dalla finzione nella finzione, l'attore impedisce inoltre a Se mi lasci non vale di cadere in quella sdolcinatezza e prevedibilità che guastano tante nostre commedie romantiche.
Fanno bene il proprio lavoro, in questa storia di uomini capricciosi,
Serena Autieri e Tosca d'Aquino. Se il personaggio della
prima è più semplice, ma comunque funzionale al racconto,
l'architetto apparentemente arrivista della seconda è una
donna straordinariamente vera nella sua modernità. Il coraggio con cui
dichiara di non volersi accontentare di un uomo che la porta in pizzeria o che non la coccola
e la sua grande ironia la allontanano per fortuna da tutti i cliché femminili: dalle
varie Cenerentole e crocerossine, dalle "gatte morte" e dalle Capitane
Neme paventate da Roberto Vecchioni in
"Voglio una donna".
Sempre per restare in tema di canzoni...
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali