Nosferatu, la recensione: il vampiro tutto sesso di Robert Eggers
Il regista di The Witch e The Lighhouse omaggia (a modo suo) sia Murnau che Herzog, butta un occhio al Dracula di Coppola ma espunge ogni romanticismo da un film muscolare e tendente alla solenninità, nel quale la questione centrale - e unica - è quella del desiderio. La recensione di Nosferatu di Federico Gironi.
Intendiamoci: nessuno qui pensava che Robert Eggers dovesse raggiungere i livelli di personaggi del calibro di Friedrich Wilhelm Murnau (autore del Nosferatu originale, capolavoro del cinema muto e espressionista) e Werner Herzog (che nel 1979 ha diretto un monumentale Klaus Kinski in un remake che è capolavoro pure quello, con modi e tempi e intenzioni diverse). Nessuno qui grida al sacrilegio, perché Nosferatu non si tocca.
Nessuno però, qui, può ignorare il fatto che se pure le intenzioni di Eggers sono nobili, e lo sforzo produttivo ingente, il suo Nosferatu è un film fuori fuoco, e sbilanciato nella pratica del cinema rispetto alle sue intenzioni e - ancora di più - alle sue aspirazioni.
Come puro oggetto cinematografico, è chiaro che questo Nosferatu di Eggers è molto curato, in cui sono evidenti i valori produttivi - notevoli le scelte scenografiche e anche i costumi - e in cui l’attenzione alla ricostruzione di una mitologia gotico-romantica passa anche per la scelta di interpreti di grande rilievo per personaggi apparentemente secondari: penso a due attori come Ralph Ineson nel ruolo del dottor Wilhelm Sievers, e Simon McBurney in quello Knock, ma anche a una scommessa tutto sommato vinta come quella di Emma Corrin nei panni di Anna Harding, amica e confidente della Ellen di Lily Rose Depp.
D’altro canto, anche la fotografia (firmata da Jarin Blaschke, già DOP di The VVitch e di The Lighthouse) è tecnicamente impeccabile, anche se dovremmo tutti iniziare a farci qualche domanda su un’estetica oramai pervasiva che gioca con le desaturazioni, e il contrasto sfacciato tra blu, grigi e neri da un lato, e gialli e arancioni dall’altro.
Il fatto che Eggers abbia voluto essere fedele senza ideologie alla trama del film di Murnau, recuperando anche i nomi dei personaggi che si distanziavano da quelli del “Dracula” letterario, e abbia cercato di rielaborare alcune delle innovazioni di quello di Herzog, è indice di una personalità cinematografica piena di coraggio e di fiducia in sé stessa: ma non per questo di una capacità di azzeccare senso e tono delle variazioni (così come di certe citazioni).
Ed è qui che le cose si complicano, oltre che in un’idea di racconto magniloquente e un po’ troppo compiaciuta che vorrebbe dare un incedere solenne al film, risultando invece in un ritmo inutilmente dilatato e diluito.
Ma la questione principale è: cosa vuole davvero dirci Eggers, in questo nuovo Nosferatu? L’unica grande, evidente differenza, rispetto ai toni dei film precedenti, sembra risiedere nell’accento marcatissimo e sottolineato posto sulla questione del sesso e del desiderio.
Il vampiro di Eggers non è più la figura eterea e inquietante del film di Murnau, né il dolente e tormentato non morto di Herzog, che mormorava quasi inudibile “La mancanza di amore è la più crudele e abietta delle pene”, esplicitando tutto il dolore della sua solitaria condizione. Il Nosferatu di Eggers è tutto costruito sulla voglia di possedere e farsi possedere, in termini squisitamente sessuali.
È, al contrario, una figura massiccia, del tutto legata alla sua forma umana (niente orecchie deformi, né zanne) e dalla mascolinità esibita; un omone magari rantolante, ma dalla voce tonante e i baffoni da cosacco che è ossessionato da Ellen, ancor prima che Thomas arrivi nel suo castello, per ragioni puramente passionali. E a sua volta la Ellen di Lily Rose Depp, non sempre adeguata a quel che la parte il film le richiedono, è tormentata dalla carica sessuale e trasgressiva del vampiro ben prima che il suo ingenuo e efebico marito sia spedito nei Carpazi per chiudere un affare immobiliare.
Ellen è posseduta (e vuole essere posseduta) dal demone del desiderio, si torce e contorce come neanche la Reagan dell’Esorcista, e l’unica modalità che ha per uccidere questo demone interiore, e colui che lo incarna, è cedervi. Non c’è reale altruismo in questo gesto (come in Murnau), non c’è il bisogno di estirpare il male dal mondo né di salvare il suo amato (come in Herzog), ma solo - verrebbe da dire - una assai conveniente opportunità di soddisfare i propri istinti per cercare di esorcizzarli.
Attorno a lei, prima del suo “sacrificio” si muovono e agitano personaggi non sempre ben delineati, e forniti di dialoghi che non siano esplicativi o retorici. Un gran baccano, un grande avanti indietro di situazioni e figure che nasconde, assieme alla superficie estetica formale e formalista del film, un vuoto di senso e contenuti che lascia l’amaro in bocca.
Eggers parla di sesso e desiderio, ma nel suo Nosferatu non c’è alcuna sfumatura di erotismo. Né del romanticismo di cui era intriso, invece, l’eroticissimo Dracula di Coppola, che pure Eggers ha chiaramente usato come ulteriore punto di riferimento. Al massimo, nell’esibizione muscolare e formalista del cinema, e nel suo manicheismo, c’è un vago riferimento alla pornografia, intesa come esibizione vuota, meccanica e superficiale di un tema e di un gesto. Una pornografia che pure è ammantata paradossalmente da un certo moralismo strisciante, giacché il desiderio è peccaminoso, e da punire.
In tutto questo il mistero, l’ambiguità, le ombre (non intese in senso fisico), il sentimento e la paura risultano, purtroppo, non pervenuti.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival