Martin Eden: la recensione del film di Pietro Marcello con Luca Marinelli in concorso al Festival di Venezia 2019
Ancora una volta la libertà espressiva e la voglia di osare del regista casertano colgono nel segno.
Al Festival di Venezia 2019 c'è stato chi ha portato il passato nel presente (Roman Polanski, col suo L'ufficiale e la spia), e chi nel presente ha fatto precipitare il futuro (Pablo Larraín con Ema). E poi è arrivato Pietro Marcello, che il tempo e la sua spazialità li prende e li condensa, e li lascia confliggere ed esplodere liberamente, senza più la schiavitù della direzionalità, dentro il suo Martin Eden.
Perché il nuovo film di Marcello - il suo primo di finzione pura, se di finzione pura possiamo comunque parlare - è un film futuribile e futurista, e arcaico assieme; e al tempo stesso capace di contenere le mille contraddizioni del nostro tempo, di raccontarne le origini, di ipotizzarne le derive. È un film dove un secolo intero, il "breve" Ventesimo, viene raccontato, evocato e rielaborato in una continua mescolanza di registri e stili, dove si confondono immagini e temi di decenni lontani, diventati improvvisamente non solo vicini, ma coesistenti: monta il fascismo, ad esempio, ma le auto sono degli anni Ottanta. C'è la televisione, ma l'industria e le lotte sindacali sono quelle d'inizio Novecento. Per tacer di una colonna sonora che mescola classica, elettronica e canzonette.
Ai tempi di Bella e perduta, parlai di Pietro Marcello come di un alchimista del cinema: qui, a dispetto di una sostanza narrativa più lineare e delineata, il regista sembra voler fare un ulteriore passo avanti, mescolando sempre più la materialità del cinema e dei sentimenti che racconta con la pulsione ideale, spirituale e teorica, rilanciando ancora in termini di spregiudicata libertà artistica, di disincantata e mai eccessiva ambizione. Diventando quasi uno stregone, capace di lanciare il suo incantesimo di pellicola, di storie, di passioni, di vite. Di slancio viscerale e irrefrenabile per il cinema.
Come in quello di London, nel Martin Eden di Marcello ci sono la politica, la filosofia, la passione per l'arte, quella sentimentale e amorosa. C'è, soprattutto, e ancora di più rispetto alle pagine del romanzo, il tormento. Il Martin interpretato da un appassionato Luca Marinelli è ancora più tormentato di quello raccontato nel libro: è più rabbioso, più feroce, e al tempo stesso anche più dolce.
Ma la sua inconciliabilità sentimentale, filosofica ed esistenziale è ancora più radicale. E più dolorosa. E racconta la confusione di quel tempo, del Novecento, e che viviamo sempre più giorno dopo giorno, nella nostra quotidianità.
La trama del romanzo viene seguita con una fedeltà laica, scevra da moralismi e sovrastrutture, e Marcello la racconta come vuole, tralasciando qui e modificando lì, gestendo il tempo del racconto come un direttore d'orchestra che rallenta e accelera seguendo l'istinto e la sensibilità, giocando con le ellissi in maniera anche estrema, ma mai gratuita. Spiazzando, e regalando emozione.
Ed è abbastanza chiaro che nella voglia di Martin di farsi da sé e di raggiungere i suoi obiettivi, nel suo essere fortemente libero da condizionamenti e preconcetti ideologici, nella voglia di affermare la sua identità unica e individuale nel contesto di un sistema culturale e non che spinge all'omologazione e alla standardizzazione, e nel rispetto dell'altro e la lotta alla diseguaglianza, il regista veda molto sé stesso.
Quello di Martin Eden è un cinema che si sporca le mani, che è spiegazzato e liso dal tempo e dalla terra, e dalla fatica, ma che conserva sempre intatta la sua anima risoluta e potente. Che ti guarda fisso negli occhi e t'interroga. Non solo su quanto ti racconta, ma sul come. Sulla nostra capacità di poter ragionare e agire in maniera così libera e priva di sovrastrutture. Così come ha fatto Pietro Marcello: che magari a qualcuno potrà anche non piacere, ma cui non si può certo negare la voglia e la capacità di essere libero e di osare come pochissimi altri in Italia, e non solo.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival