Megan 2.0, recensione di un sequel che abbandona l'originalità del primo film per diventare anonimo
Non che fosse un memorabile film il primo M3gan, ma c'era del buono in quel piccolo film horror. Il suo sequel è un upgrade che tradisce tutto quello che può del suo predecessore, per essere diverso senza realmente andare da nessuna parte.
Arrivato senza la pretesa di rivoluzionare il genere horror, M3gan (2022) è quel tipo di film low budget che sa dove trovare il suo pubblico. Prodotto con soli 12 milioni di dollari (un muffin e un frappuccino per Hollywood) grazie a case di produzione navigate come Blumhouse e Atomic Monster, il film ha approfittato delle location della Nuova Zelanda per risparmiare e ha conquistato gli spettatori a suon di balletti creepy e meme virali. La protagonista androide aveva iniziato a crearsi una fan base sui social ben prima dell’uscita in sala. Alla fine giro, in tasca c'erano 180 milioni raccolti al box office globale. A quel punto, il sequel era già in avanzata fase di scrittura.
E così eccoci qui, con M3gan 2.0 che arriva al cinema con la spavalderia di chi ha già vinto prima di cominciare. Più lungo, più elaborato, più ambizioso. E più ingolfato. Il film si svolge due anni dopo gli eventi del primo capitolo che, giusto per non dimenticare, era uno sci-fi horror con licenza di parafrasi sul concetto di bambola assassina. M3gan era una sorta di Tata Matilda ricaricabile, infallibile, inquietante sì, ma al contempo graziosa. Un androide progettato per badare ai bambini e proteggerli ad ogni costo, secondo la personale reinterpretazione del sua IA che include, all'occasione, azioni cruente. Senza gridare al capolavoro, quel film funzionava perché restava aggrappato ai propri confini domestici, semplici ed efficaci.
Il sequel, invece, cambia registro. Le sfumature horror svaniscono, sostituite da combattimenti, inseguimenti e progetti militari top secret pericolosissimi. Ora gli androidi sono due: M3gan e Amelia, Model 3 Generative Android e Autonomous Military Engagement Logistics and Infiltration Android (per gli amanti del festival degli acronimi). Qualcuno ha rubato il progetto di M3gan e ha pensato bene di farne un’arma da guerra. Amelia è dunque il nuovo cyborg ad andare fuori controllo che deve essere fermato. Come si ferma un cyborg? Con un altro cyborg. Ed ecco che M3gan, la villain del primo film, diventa un alleato nel secondo, in quella che è una mediocre rielaborazione della storyline di Terminator 2.
Per M3gan 2.0 il budget sale a 36 milioni, e si vede: più personaggi, più effetti, più location, più caos. Purtroppo, anche più prevedibilità. Nonostante sceneggiatrice e regista siano le stesse persone del primo film, rispettivamente Akela Cooper e Gerard Johnstone, questo sequel sembra sia passato in mano a completi sconosciuti. Ci vogliono tante decisioni per allontanarsi da una terrificante e maligna babysitter andando verso uno scontro hi-tech tra IA femminili, e sono state prese tutte. Sorprendentemente, anche l'umorismo sopra le righe diventa un elemento su cui si investe (ma perché?), che va a citare persino la filmografia di Steven Seagal. E ogni passaggio che tenta di abbracciare l'attualità, riflettendo sui rischi delle IA, rimane impresso come un reel di Instagram.
Se il primo film era una selfie originale e senza ritocchi, il secondo film è lo stesso scatto con tanti filtri e troppi hashtag.
- Giornalista cinematografico
- Copywriter e autore di format TV/Web