La Sirenetta, la nostra recensione del remake Disney con Halle Bailey

22 maggio 2023
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Nuovo capitolo delle rivisitazioni dal vero dei classici animati Disney, La sirenetta si difende da alcuni punti di vista, ma si trascina gli usuali limiti di queste riletture. La nostra recensione.

La Sirenetta, la nostra recensione del remake Disney con Halle Bailey

La sirena Ariel (Halle Bailey) sogna di interagire con gli esseri umani, nonostante papà re Tritone (Javier Bardem) non sia d'accordo: salva da un naufragio il principe Eric (Jonah Hauer-King) e se ne innamora, ma per stare con lui accetta una truffaldina trasformazione in ragazza, a cura di una non disinteressata strega Ursula (Melissa McCarthy). L'amore trionferà, non solo tra Ariel ed Eric: le loro tribolazioni porteranno a comunicare sirenette e tritoni con uomini e donne, addolciti dall'esperienza...

La sirenetta, un po' di doverosa storia

La sirenetta di Rob Marshall è la rivisitazione dal vero del 28° lungometraggio del canone dei Walt Disney Animation Studios, La sirenetta (1989), scritto e diretto da John Musker & Ron Clements, un lavoro epocale da svariati punti di vista. Se la riscoperta commerciale dell'animazione in generale era cominciata già con Basil l'investigatopo (1986), Oliver & Company (1988) e lo straordinario successo di Chi ha incastrato Roger Rabbit (1988), gli studi Disney "giovani" di allora non trovavano ancora il coraggio di affrontare il sottogenere principesse: un passo delicato, importante e simbolico, da compiere al meglio. Ci riuscirono perché incrociarono sulla loro strada Alan Menken (compositore) e Howard Ashman (paroliere), in grado di costruire un musical reale e più maturo e profondo degli stessi classici di tanti decenni prima. La giovane protagonista diventava una ragazzina ribelle e volitiva. Contemporanea. Terminiamo la veloce lezione di storia cinematografica: La sirenetta fu una bomba, la consacrazione di quello che si definisce "Rinascimento Disney degli anni Novanta".

La sirenetta, il primo impatto

Il paradosso di questo nuovo La sirenetta, allungato con tre nuovi brani musicati ancora da Menken ma con parole di Lin-Manuel Miranda (Encanto), è che rischia di essere altrettanto epocale, ma per tristi motivi. Il proverbiale elefante nella stanza, fonte sicura di condivisioni ed elargizioni di facili emoticon di dileggio o rabbia, è il cambio di etnìa di Ariel, diventata nera e con le fattezze di Halle Bailey, sulla quale onestamente abbiamo poco da dire: l'abbiamo trovata simpatica, espressiva e adatta alla parte. La si dovrebbe rifiutare per una pura questione di principio, nel qual caso sarebbe interessante chiedersi (senza ipocrisia) di quale principio si stia effettivamente parlando. Mi auguro che non trovi posto l'idea secondo la quale Ariel non possa essere nera perché "sott'acqua non arriva la luce del sole". Mi appare come un segnale di allarme: il nerdismo sta pericolosamente diventando una forma di scienza applicata alla fantasia. No, nel nuovo La sirenetta l'innegabile strategia di moderna inclusività disneyana pesa molto meno di quanto sembri, quando il film vi scorre sotto gli occhi: l'ambientazione del film giustifica bene il suo abbraccio multietnico immergendolo in un sapore giamaicano con retrogusto New Orleans, e re Tritone ha dopotutto "figlie dai sette mari". Il materiale fantastico è così morbido e malleabile, da rimbalzare anche contro queste decisioni, che a conti fatti non intaccano il funzionamento della fiaba minimamente. Certo, inutile negarlo, c'è un percorso ideologico.

La sirenetta, la sfida che propone al di là delle ironie

Si vuole cambiare il mondo con un attivismo cinematografico, articolato su due linee guida. Si amplifica il naturale femminismo che nella filmografia delle principesse disneyane c'è sempre stato, e qui la sceneggiatura di David Magee (Vita di Pi, Il ritorno di Mary Poppins) ha fatto un buon lavoro, perché si gioca anche di sponda. Per rendere Ariel più consapevole di sé, si cesella meglio la figura di Eric, che ha più personalità rispetto al cartoon originale: non c'è un primato della donna sull'uomo per ripicca, ma c'è un'unione che nasce da un trovarsi allo stesso livello, in nome di una visione del mondo comune. Dall'allentamento degli stereotipi eroe/principessa guadagnano maschi e femmine, e non stona affatto che in due momenti chiave del climax sia Ariel a farsi giustizia, senza diventare una supereroina, ma con una rabbia più che giustificata.
L'attivismo di cui sopra sceglie anche la strada dell'unione mista di Ariel ed Eric come passo concreto tra l'unione di due mondi senza scontri: gli Usa ancora una volta cercano di metabolizzare le tensioni secolari tra bianchi e neri sotto lo stendardo di Hollywood, e la Disney da qualche anno avverte questa e altre responsabilità, canalizzando la sensibilità di una generosa porzione della società statunitense.
Non ritengo che temi come questi, e la loro proposta nel cinema d'intrattenimento, siano "forzati" nel 2023, anche se una forzatura c'è: si tratta solo di capire nitidamente in cosa consista.    

L'interferenza colpisce ancora, La sirenetta non si salva

Ci possono essere diverse questioni di principio per le quali si rifiuta un'operazione del genere, e nel pregarvi di elaborare le vostre con onestà, qualora vogliate misurarvi sui temi trattati, vi esprimo le mie. La mia questione di principio è che, da appassionato di animazione, dopo anni, faccio ancora e sempre fatica ad accettare l'idea di una sostituzione dei classici con le loro "versioni 2.0". Peggio, credo che anche i temi sociali citati non siano affatto aiutati dall'innesto su una visione preesistente e così radicata nell'immaginario collettivo: la vera "forzatura" per me non è lo sforzo di proporre quei temi, ma è pretendere di chiudere in soffitta l'arte che testimonia il gusto e le idee di trent'anni fa, suo malgrado. Quest'interferenza fortissima rischia paradossalmente di far respingere in blocco anche le migliori intenzioni d'inclusività, che già ha una strada in salita quando presentata in materiale originale (com'è capitato alla dolcezza del povero Strange World). Avremmo reagito alla stessa maniera se alla fine degli anni Ottanta si fosse aggiornata Biancaneve rappresentandola come un'adolescente ribelle in rotta col babbo stile Ariel.
La base dell'evoluzione è sapersi guardare indietro e guardare avanti, e pochi studi come la Disney nei decenni hanno dimostrato di saperlo fare: nei casi migliori hanno però lavorato brillantemente sulla formula e sul genere, reinventandolo in nome di quella modernità come accadde con Frozen, non sulle toppe a storie già raccontate. Quest'ultima strategia è problematica, perché porta un certo disorientamento, anche se comporta minori rischi commerciali.

La sirenetta, il peso del remake però lo decidiamo anche noi  

Tecnicamente parlando, il paragone con La sirenetta originale danneggia anche la solida cura audiovisiva di questo film, che ne viene ridimensionato nonostante le nobili intenzioni di contenuto e le professionalità coinvolte, specialmente nel cast umano. Ciò che nel film del 1989 era puramente cartoon, ancora una volta, risulta invece grottesco e disturbante nella CGI fotorealistica: Sebastian, Scuttle, Flounder sono stranianti, e un numero musicale come quello di "In fondo al mar" non può reggere con uno stile fotorealistico senza risultare goffo, e non c'è ammiccamento allo Schiaccianoci di Fantasia che tenga. La misura della Sirenetta animata, che durava un'ora e venti, viene poi inevitabilmente compromessa quando si allunga la visione a due ore e quindici, e le tre dimenticabili nuove canzoni non risultano mai necessarie: quella aggressiva di Scuttle porta poi così tanto la firma moderna di Lin-Manuel Miranda da essermi sembrata onestamente fuori posto. Com'è successo inoltre per altri remake dal vero, s'incappa a volte in una modifica operata senz'alcun apparente motivo, tanto da indebolire un personaggio: Sebastian fa al 95% le stesse cose che faceva nel film originale, scena dopo scena, ma non è più il musico di corte. Perché? La sua regia durante la divertente "Baciala" non perde così forza?
La nuova Sirenetta è in definitiva simile a tanti altri remake che la Disney sta realizzando negli ultimi anni, in contenuti, tecnica e scelte, in equilibrio precario: una professionalità con qualche buona idea, sull'orlo del baratro di un compito improbo. Come sempre però, dipende da noi quanto vogliamo lasciare che queste operazioni "cancellino" il passato, che rimane sempre disponibile. Ecco, le mie opinioni di fronte a film così divisivi possono poco, ma spero che possa di più un invito: quando le dita avranno la tentazione di scivolare sulle polemiche social mitragliate dallo smartphone, consiglio di dirottarle su un tasto play, per rivivere il passato. E non darlo per scontato.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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