Il treno dei bambini: la recensione del film di Cristina Comencini con Serena Rossi e Barbara Ronchi
Un adattamento di un romanzo di grande successo in Italia, Il treno dei bambini racconta di un bambino diviso fra due mondi e due madri, fra Napoli e il nord negli anni del dopoguerra. La recensione di Mauro Donzelli del film di Cristina Comencini.
Due universi e due storie che improvvisamente comunicano. Sullo sfondo di una Storia che mette in scena l’estrema difficoltà di rialzarsi nei primi anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, una storia dimenticata riemersa alcuni fa grazie a un romanzo diventato un grande successo. La scrittrice Viola Ardone ha riportato alla luce la vicenda dei “treni della felicità”, ora Cristina Comencini propone la sua versione per il grande schermo del libro Il treno dei bambini. Decine di migliaia di bambini molto poveri che vivevano nel cuore di Napoli e di altre realtà del sud vennero accolti per un periodo da famiglie contadine emiliane. Il tutto organizzato da chi in quelle campagne confermava il radicamento e uno dei principali bacini elettorali, il Partito comunista italiano. Proprio mentre per la prima volta le donne votavano per la prima volta, e il Paese sceglieva nel referendum per la Repubblica e la soppressone della Monarchia, nel 1946, Amerigo ha otto anni vive per strada e in una piccola umile casetta insieme alla madre Antonietta (Serena Rossi).
Un contesto caratterizzato dalla povertà estrema e dalla ricerca quotidiana di espedienti per ottenere qualche cosa da mangiare, in botteghe organizzate alla buona in altre forme di povertà. Mentre l’inverno si avvicina, Antonietta nasconde dietro un atteggiamento scontroso, eternamente preoccupato, e con ragione, l’amore di una madre disperata per la sopravvivenza propria e soprattutto di un figlio a cui vorrebbe poter regalare un futuro diverso rispetto al suo, ormai segnato dalla precarietà assoluta e da un uomo che gli regala al massimo pochi momenti come amante occasionale. La passione per il canto accompagna al massimo la pulizie in casa, unico colore in un grigiume generalizzato.
Un giorno porta Amerigo dai “comunisti”, fidandosi nonostante la vulgata generale, dura a morire fino ai corridoi della politica di pochi anni fa, che “i rossi mangiano i bambini”, per approfittare di treni organizzati per dare sollievo ai piccoli dalle rovine metropolitane della città di fresco bombardata, godendosi alcuni mesi di relativa opulenza contadina emiliana, fra tortellini in brodo e la nebbia quotidiana. Una decisione non facile, quella di privarsi dell’unico figlio anche solo per qualche mese, almeno inizialmente, tanto che Amerigo la prende male e tiene il muso negli ultimi momenti alla mamma, accogliendo altrettanto duramente la nuova giovane “mamma”, Derna, una single dedita al sindacato e alle politiche femminili del partito, piena di speranze, con le sue compagne, dopo aver combattuto nella resistenza e in molti casi sostituito “gli uomini” in molti ambiti della società durante la guerra partigiana.
Sullo sfondo di questa grande vicenda che ha segnato in quei mesi l’Italia, Il treno dei bambini costruisce un ritratto accurato e toccante di un gruppo di “scugnizzi” per la prima volta allontanati dal loro ambito di riferimento, una banda alla De Amicis divertente e sconclusionata, in cui emerge un Amerigo vivace e curioso di ogni cosa, dal cuore tenero e obbediente e capace di costruirsi in poco tempo quella consapevolezza che lo spingerà a prendere una decisione dolorosa. Con Derna si instaura un secondo e diverso rapporto intenso fra madre e figlio, mentre dallo zio falegname con la passione per la musica inizia a prendere delle lezioni di violino. Sarà una carriera come primo violinista di successo, il suo destino, come vediamo nella cornice del film con protagonista Stefano Accorsi.
Una storia d’amore sotto forme diverse, fra chi pensava di non avere mai figli, ancora in lutto per i dolori e gli amori travolti dalla guerra, e l’altruismo struggente declinato nel lasciare andare, non trattenendo, come forma di amore materno assoluto, per permettere una vita migliore. Interpretazioni solide e una messa in scena funzionale alimentano l’emozione di uno spettatore che si trova pienamente coinvolto da questi adorabili e sconclusionati bambini. Christian Cervone come fantastico Amerigo, in primis.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito