Il Regno: recensione della commedia in cui Stefano Fresi finisce nel Medioevo
L'opera prima di Francesco Fanuele Il Regno racconta con divertimento e un pizzico di poesia un mondo alternativo alla nostra roboante contemporaneità.
Stefano Fresi e Max Tortora, nella commedia favolistica Il Regno, sono come Roberto Benigni e Massimo Troisi in Non ci resta che piangere? Un po’ sì e un po’ no. Sì perché il periodo storico in cui i personaggi capitano loro malgrado è non proprio lo stesso, ma comunque è simile (qui siamo nel 1100 e là nel 1400, quasi 1500) e in entrambi i casi i due compari (uno in particolare) devono abituarsi a un inusitato e forse più semplice modus vivendi. No perché il posto in cui il primo si ritrova con grande sorpresa mentre il secondo in realtà già abita, anche se talvolta con riluttanza, coesiste con il nostro tempo. E’ insomma un Medioevo situato nella campagna romana l'ambientazione della nostra storia. E’ un regno simil-medievale per la precisione, come spiega il titolo stesso dell'esordio nella regia di Francesco Fanuele, ed è una risposta alla stressante modernità e alla supersonica velocità del nostro mondo. Il regno se l'è inventato il padre del protagonista del film, che fa l'autista di autobus e sembra non avere nemmeno un amico. Se l'è inventato quando era più giovane e lo ha governato come un antico tiranno, costringendo i sudditi a una cieca obbedienza ed estendendo ad libitum il famigerato ius primae noctis.
L'idea è originale e a suo modo geniale e, prima di svilupparla in un lungometraggio, Fanuele l'ha raccontata nel suo corto di diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia, tenendo a mente, senza copiare pedissequamente, la lezione di penne illustri come Age e Scarpelli e di filmmaker sopraffini come il Mario Monicelli de L'Armata Brancaleone. Ha voluto fare quella commedia là e ci è riuscito il giovane regista, inventandosi un linguaggio aulico che fa di Tortora uno squisito ciambellano corte e di Fotini Peluso una colta principessa supponente che trama nell'ombra. Il picaresco, però, finisce qui, perché Il Regno, in fondo, è una riflessione sulla solitudine, che, oggi più che mai, tutti ci attanaglia, chiudendoci nelle nostre case davanti a monitor di ogni foggia e grandezza. E’ una brutta bestia la solitudine, perché ci priva dell’autoconsapevolezza e dell'autostima e ci impedisce di rapportarci con l'altro in maniera sana e scanzonata. Il Re Giacomo di Fresi, che è un puro, non si stima e non si ama, e la purezza non basta a renderlo il sovrano ideale, perché senza un po’ di polso la magnanimità di un sire viene scambiata per debolezza, e senza ordini e leggi l’anarchia è dietro le porte.
Ecco, seppur fra scene buffe in cui il nuovo incontra il vecchio e per un attimo qualcuno desidera lasciare il destriero e il falcone per giocare su un campo da golf, Il Regno trova il modo (ed è un modo intelligente) di parlare del potere e di come sia complicato gestirlo. Il potere, ci dice Fanuele, più che logorare chi non ce l’ha, rinchiude in una torre d'avorio chi ce l'ha. Il capo, qualunque capo, mangerà sempre da solo e non avrà mai nessun mal comune da tramutare in un mezzo gaudio. E se troverà il modo per far breccia nei cuori di chi obbedisce al suo volere, farà sempre squadra a sé.
Si parla infine dell'utopia di una fuga in una realtà alternativa alla nostra nel film, per concludere che difficilmente una vita di diverso tipo, possibilmente in gruppo (sia essa in una comune hippie o all'interno di una comunità religiosa) riesce alla lunga tradursi in armonia e portare alla felicità. E poi, fuggire da se stessi, quasi sempre, significa tornare da se stessi e dover ricominciare da capo, a meno che non ci si abitui a ritenersi meritevoli d'affetto e trasformare così la sicurezza di sé in una base solida interna da cui ripartire.
Non sempre scatenano la risata le bizzarrie del contesto in cui capita il goffo Giacomo, e al regista, in fondo, non interessa ridere di diversi usi e costumi o di un fagiano servito perfino a colazione. L’ago della bilancia, ne Il Regno, pende più dalla parte della tenerezza e dello spaesamento, che poi sono la tenerezza e spaesamento di Stefano Fresi, attore sempre bravo e sempre misurato. Abbiamo sempre pensato che fosse tra i pochi che sfuggono alle etichette, e proprio per questo siamo convinti che possa interpretare una galleria vastissima di personaggi, in particolare in costume, e di umani pregi e difetti.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali