Il Grinch, la recensione del film animato tratto dal classico del dr.Seuss
L'Illumination Entertainment esegue un compito garbato e rispettoso, senza stupire.
Nel Mondo dei Chi, il Grinch (voce di Benedict Cumberbatch in inglese, di Alessandro Gassmann in italiano) è diverso da tutti i suoi simili: è verde, vive isolato col cane Max e detesta la gioia, in particolare in periodo natalizio. Quando la comunità si prepara a un Natale più grandioso del solito, il nostro antieroe decide di ripensarsi "Babbo Natale al contrario", soffiando a tutti ornamenti e regali. Andrà fino in fondo al suo proposito?
Il producer Chris Meledandri, re Mida del cinema d'animazione con la sua Illumination Entertainment dei Minions e Pets, non è nuovo agli adattamenti dell'opera del grande Theodore Geisel in arte dr. Seuss: non ci riferiamo solo al Lorax di sei anni fa, ma anche al precedente Ortone e il Mondo dei Chi (2008), realizzato quando era ancora alla Blue Sky. Con una squadra diretta dal veterano Yarrow Cheney e da Scott Mosier (professionista che si alterna tra animazione e audiovisivi dal vero), Meledandri ha deciso di prendere di petto il culto per eccellenza del dr. Seuss, cioè quel Grinch già portato alla gloria da Jim Carrey nel film di Ron Howard del 2000.
Come ha potuto l'Illumination affrontare un tale bagaglio culturale? L'impresa era più improba di quanto si pensi, perché a parte l'eredità del classico letterario e del film precedente, l'animazione stessa vantava uno special televisivo del 1966, diretto addirittura da Chuck Jones. Più che ai cachinni di Carrey, questo nuovo Grinch sembra guardare proprio a quest'ultimo modello, peraltro fedelissimo nel seguire il gusto grafico di Geisel, tanto che il nuovo lungometraggio si sente in dovere di citarlo esplicitamente con un riarrangiamento hip hop della canzone "You're a Mean One, mr. Grinch", scritta dal dr. Seuss stesso per Jones.
Non c'è praticamente nulla di sbagliato nel film, ma il doveroso rispetto, l'umile trasparenza degli autori di fronte alla fonte, diventa inadeguatezza quando la durata di un'ora e mezza li costringe ad ampliare il materiale. Lo special di Chuck Jones non a caso durava appena 26 minuti, più che sufficienti per coprire ogni aspetto. Qui il copione di Michael LeSieur e Tommy Swerdlow si appella al gusto per lo slapstick e delle caricature degli story artist, all'Illumination abituati a cercare la risata con la clownerie fine a se stessa. Si ride, i più piccoli rimangono attenti grazie alla palette luminosa, colorata e nitida, però il proverbiale allungamento del brodo appesantisce un po' l'esperienza nonostante l'impegno.
Ciò non significa che questo Grinch non funzioni malgrado tutto, a nostro parere più del grottesco film di Howard grazie all'impiego del più disinvolto mezzo dell'animazione. Nella versione originale un Cumberbatch perfettamente in parte non fa di certo rimpiangere il Boris Karloff dello speciale tv, ma soprattutto la storia rimane così efficace, tenera, lunare e spiritosa, da resistere indenne a qualsiasi limite di adattamento. Il Grinch è irresistibile, tanto da avere nei decenni anche evidentemente ispirato il Tim Burton di Nightmare Before Christmas (che s'inerpica però per strade più filosofiche), e porta lui stesso gli echi dell'isolamento misantropico del buon Scrooge del Canto di Natale dickensiano.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"