Il grande e potente Oz - la recensione del film di Sam Raimi
06 marzo 2013
James Franco interpreta l'origin story del più grande illusionista delle fiabe

L'enigma più grande che chi vi scrive affrontò da piccolo era il finale del "Mago di Oz" di L. Frank Baum: un racconto tra i più fantastici e visionari si chiudeva con un colpo di scena sfrontato. Il Mago da cui Dorothy e i suoi amici si dirigevano era in realtà una persona comune, che faceva dell'effetto placebo la sua politica principale, tenendo a bada un universo magico con l'artigianale falsità del prestigiatore. E' uno di quei colpi di genio a lettura multipla che innalzano un'opera riuscita a vero capolavoro.
Se teniamo presente il fascino di quell'idea, il film di Sam Raimi, che si propone di raccontare in un prequel l'arrivo del "mago" nel Regno di Oz, non è azzardato come altri recuperi. La provocazione di Baum è già naturalmente aperta all'indagine, più degli universi di "Pinocchio" o di "Alice nel Paese delle Meraviglie" . Chi è questo prestigiatore che si permette di dominare e mettere in scacco la mia fiaba? Come si permette la realtà di dominare con dei trucchi da baraccone la mia immaginazione? Raimi, da vero autore di sincero e diretto intrattenimento che è sempre stato, non può non sentirsi attratto dal corto circuito di questo amabile ciarlatano.
Il grande e potente Oz è un gioco di prestigio cinematografico da saltimbanchi, dove la componente visiva è molto curata: il 3D è tra i più suggestivi degli ultimi tempi, gli ambienti e i personaggi virtuali sono degni di un cartoon (riuscitissima la bimba di porcellana), i colori impazziscono in un nostalgico arcobaleno acido che sogna il Mago di Oz del 1939.
James Franco porta sulle spalle il rifiuto dei più scontati Robert Downey Jr. e Johnny Depp, nonché il peso di una recitazione sopra le righe che da lui non ci si aspetterebbe: il suo impegno e il suo status di star inferiore ai colleghi citati aiutano però lo spettatore a evitare le interferenze della celebrità sul personaggio. Raimi lascia andare a briglia sciolta lui e le sue streghe (Weisz, Kunis, Williams): l'origin story dell'iconica Strega dell'Ovest unisce idealmente la Hollywood odierna con la Hollywood del Technicolor, passando per il Norman Osborn / Goblin che in Spider-Man si librava nell'aria con la sua scopa appena più tecnologica.
L'ingranaggio potrebbe scorrere senza intoppi, con un grande rispetto per il cinema e per il pubblico, ma purtroppo il copione di Kapner e Lindsay-Abaire si dilunga su due ore piene, che per l'entusiasmo rutilante del film sono troppe. Alla fine la stanchezza prevale, ma non impedisce del tutto ai temi suggeriti di sedimentarsi: nella realtà Oz sa di non poter restituire le gambe a una bambina paralizzata, ma nel regno magico può farlo incollandole i piedi di porcellana. L'impegnativa collisione tra realtà e immaginazione, spinte dall'arte e dallo spettacolo, è forse uno dei pilastri dell'opera originale, e ha retto anche il colpo di un imperfetto blockbuster per le masse.
Bicchiere mezzo pieno.
- Giornalista specializzato in audiovisivi
- Autore di "La stirpe di Topolino"
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