Color Out of Space: recensione dell'horror lovecraftiano di Richard Stanley con Nicolas Cage

11 marzo 2020
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La weird fiction di Lovecraft incrocia un camp moderato: un gran bel film che segna il ritorno alla regia di un regista che non girava un film dal 1996.

Color Out of Space: recensione dell'horror lovecraftiano di Richard Stanley con Nicolas Cage

Sulla carta, l’accoppiata tra Howard Phillip Lovecraft e Nicolas Cage (con l’aggiunta di un redivivo Richard Stanley alla regia) sembrava già vincente di suo. Poi lo vedi, Color Out of Space, e ti accorgi che tutto quello che prometteva, lo mantiene pienamente, e molto di più.

La storia è molto semplice, per quanto semplice possa essere una storia di Lovecraft. I Gardener vivono in una grande casa di campagna del New England un tempo appartenuta al padre del personaggio di Cage. Sono un po’ strani, ma come tutte le famiglie sono strane a modo loro: lui, Nathan, che deve aver avuto un passato un po’ sbandato, ha comprato degli alpaca, li tiene nel fienile, li munge e progetta di farci non so che. Sua moglie Theresa (Joely Richardson), reduce da un tumore al seno e da una mastectomia, cerca di lavorare come broker finanziario da un computer in soffitta. Poi ci sono i due figli adolescenti, Lavinia e Benny (Madeline Arthur e Brendan Meyer), lei ossessionata dalla stregoneria, lui con un debole per le canne. E infine Jack (il Julian Hilliard di The Haunting), il figlio più piccolo, che ancora non ha fatto a tempo a sviluppare particolari idiosincrasie, se non una chiara ma non sbandierata passione per i dinosauri.
Poi, una notte, nel giardino di casa piomba un meteorite dallo spazio, e tutto sembra impazzire; mentre nascono ovunque infiorescenze purpuree e si manifestano strane “ombre” dello stesso colore venuto dallo spazio, i Gardener andranno incontro a strani episodi dove perderanno la cognizione del tempo, o ogni controllo sfogando l’un sugli altri rabbie e frustrazioni, e la misteriosa forza aliena contaminerà implacabilmente, tramite l’acqua del pozzo di casa, tutta la vita circostante.

La progressione di Color Out of Space è lenta ma implacabile, e da una crescita geometrica passerà a un’esclation esponenziale di eventi quando si entra nell’ultimo terzo del racconto.
Fin dall’inizio, però, Stanley è molto bravo a farci capire che c’è qualcosa di molto strano, nel suo film, e che non è solo il meteorite a guastare le cose. Il nostro sguardo sui Gardener potrebbe essere quello del personaggio di Ward Phillips (interpretato da Ellit Knight, una sorta di James Franco con la pelle nera) giovane idrologo dal nome non casuale che, in apertura di film, incontra Lavinia nel bel mezzo di un rituale magico per guarire la mamma dal cancro definitivamente, e che s’invaghisce della ragazza, e che capisce per primo che qualcosa di strano c’è nell’acqua che bevono e nei comportamenti di quella famiglia.

Strano. Weird. Parlando di Lovecraft, non c’è da stupirsi che si tirino in ballo quelli che non sono solo aggettivi, ma vere e propre categorie narrative e filosofiche, come ci ha raccontato benissimo Mark Fisher in uno splendido saggio che si chiama appunto “The Weird and the Eerie - Lo strano e l’inquietante nel mondo contemporaneo”, pubblicato in Italia da Minimum Fax.
E non è un caso che il concetto di weird, come ha ben spiegato Fisher, derivi da quello freudiano di unheimlich, ovvero il perturbante, traducibile però anche come “non familiare”, come ha spiegato invece Sergio Benvenuto (trovate il pezzo sul sito Le parole e le cose).
Perché, da un certo punto di vista, Color Our of Space può anche essere letto come un film che racconta il disgregarsi, e il riaggregarsi malato e perverso, di una famiglia quando essa smette di essere tale, dilaniata dalle sue tensioni normalmente controllate o represse: basta ascoltare certi dialoghi, o vedere come papà e mamma Gardener regiscono di fronte all’interesse reciproco che sembrano dimostrarsi Lavinia e l’aitante e giovane idrologo, o come il tumore di Theresa venga raccontato e che significato chiaramente metaforico può assumere.

Fin qui, la parte lovecraftiana di Color Out of Space. Ma Stanley è troppo furbo, e non gli manca certo il coraggio, da non sprecare in questo contesto la presenza di Nicolas Cage, con tutto quello che questo comporta.
E quindi, dopo una partenza anche in questo caso a ritmi e toni molto moderati, da un certo punto in avanti Cage fa tutto quello che ci si può aspettare da lui, e il repertorio di sfuriate, faccette estreme e strane controrsioni interiori arriva ad arricchire il racconto il film e a diventarne parte integrante e strutturalmente fondamentale, senza per questo sovrastare o sostituirsi al cuore narrativo e tematico della storia. Al weird, quindi, si aggiunge il camp: che era stato, anche lui, sottilmente presente fin dai primi istanti.

Stanley è bravo e sfacciato e pazzo quanto basta, sa come costruire tensione e quando esplicitare. Perfettamente consapevole di quella che è chiamata “l’infilmabilità di Lovecrat”, la sua macchina da presa e le sue inquadrature sembrano spesso in attesa, o in osservazione di qualcosa che ancora in vediamo, protese verso di esso proprio come accade al piccolo Jack; qualcosa che lentamente inizia a rivelarsi, fino a raggiungere il massimo della sconvolgente e perturbante esplicitazione nella parte finale del film, che è capace - per quanto possibile - di dare una contretezza visiva agli orrori metafisici, alieni e irrappresentabili di Lovecraft.
Quando Color Out of Space, anche grazie a un uso sapiente e mai eccessivo degli effetti speciali (per non parlare del sonoro, che è un punto fondamentale del film), sembra calare nel mondo di Annientamento di Alex Garland certi orrori alieni e mutanti di La cosa di John Carpenter e la follia estrema e psichedelica di Mandy di Panos Cosmatos (che, non a caso, è un altro film prodotto dalla SpectreVision di Elijah Wood).
Ma non c’è imitazione o citazionismo: Color Out of Space è prima di tutto, in tutto e per tutto, un film di Stanley. Uno Stanley che non girava film dal 1996, e che ora non vediamo l’ora torni sul set: anche perché il suo prossimo film, pare, sarà un altro adattamento lovecraftiano, quello di “L'orrore di Dunwich”.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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