Emma: la recensione del luminoso e vibrante nuovo film dal romanzo di Jane Austen
Senza dubbio il miglior adattamento del libro, grazie alla sua modernità, alla cura del dettaglio e all'interpretazione di Ayna Taylor-Joy e di Bill Nighy.
Quando Jane Austen, nel lontano 1815, pubblicò il suo quarto romanzo, "Emma", forse aveva ancora in mente l'incipit di "Orgoglio e pregiudizio", uscito soltanto due anni prima. La frase iniziale del libro più famoso della scrittrice inglese ("E’ una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo, in possesso di una certa fortuna, abbia bisogno di una buona moglie") può infatti adattarsi benissimo alla vicenda dell’impertinente Emma Woodhouse, così come alla più recente versione cinematografica dell'opera, diretta da Autumn de Wilde e interpretata da Anya Taylor-Joy. La ventunenne saccente e fiera che la deliziosa attrice impersona può tranquillamente fare di quelle due righe il proprio motto o la propria bandiera, da sventolare sopra le teste dei fan del matrimonio ad ogni costo.
La Emma del film Emma è giovane, colta e abita in una elegante dimora, una di quelle residenze con cui, dopo Downton Abbey, ma anche dopo La Favorita, abbiamo ormai una certa familiarità. Emma adora gli intrighi e si diverte, quasi sadicamente, a combinare unioni. Perché lo fa? Semplice, è una piccola manipolatrice. Questa sua caratteristica, meno evidente in altre riduzioni cinematografiche del libro, la rende un personaggio squisitamente contemporaneo e nello stesso tempo universale. Con i suoi occhioni espressivi e quei riccioli incorniciati da cappelli e cappellini, Emma, forse, racchiude in sé l'anticonformismo della stessa Austen e la difesa della solitudine, e perfino la verve delle donne degli anni '30 e '40 così ben raccontate dalle screwball comedy della vecchia Hollywood, cronache di battaglie fra i sessi a cui la regista ha ammesso di aver guadato.
Emma strizza l'occhio perfino alle ragazze dei film di John Hughes, e attraverso di lei il film si trasforma pian piano in un elogio dell’imperfezione e di una forza di carattere che preme non solo contro i colletti rigidi dei vestiti e i soffocanti corsetti, ma anche contro l'idea che una donna dovesse essere una creatura docile e remissiva. E’ l'elogio della "capricciosità" Emma, e dell'autodeterminazione. Tuttavia, a ben guardare, il personaggio è anche un prodotto dei propri tempi, perché incarna lo snobismo dell'upper class britannica che faceva scudo ai matrimoni fra esponenti di classi lontane e mostrava finta deferenza nei confronti dei meno fortunati: sono i famosi pregiudizi, o giudizi a priori, che l'autrice del romanzo ha combattuto - con personaggi, situazioni e vivacità di scrittura - in tutta la sua produzione.
Certo, in Emma la satira non è feroce come nel sopracitato La Favorita, ma c'è, e campionessa della discriminazione, come già detto, è proprio la signorina Woodhouse. E’ vera cattiveria la sua? Un po’ sì, ma deriva da un'insicurezza di fondo, che emerge nel confronto con le altre ragazze del luogo, e da un atteggiamento infantile che quasi commuove. E del resto, la malignità, a inizio diciannovesimo secolo, era una delle inevitabili conseguenze della sonnacchiosa vita nobiliare. Per i signori benestanti ottocenteschi, e perfino novecenteschi (anche qui Downton Abbey docet), il lavoro non nobilitava l'uomo, e le giornate erano un susseguirsi di passeggiate su prati verdissimi, tè con pasticcini e lezioni di francese, mentre alla sera ci si riuniva per suonare il piano, partecipare ai balli e parlare (male) del prossimo. Erano i tempi della grande noia, insomma, e questa noia determina il ritmo del nostro film, che indugia sui rituali, sui preparativi, sulle gite in carrozza per arrivare al negozio del villaggio dove sono esposti nastri per abiti e cappelli, e passamaneria. Ciò non significa che Emma sia lento ed indigesto, perché nuovi personaggi fanno continuamente la loro comparsa, rimescolando le carte e il gioco dell'amore.
Emma, che è interpretato anche da uno straordinario Bill Nighy, è l'adattamento più fedele al romanzo di Jane Austen (soprattutto per il dialogo), eppure contiene un ulteriore elemento di modernità: la sensualità. Il personaggio di Mr Knightley (Johnny Flynn) fa il suo ingresso nel film in tenuta "sportiva", poi si spoglia per cambiarsi, e la macchina da presa di Autumn de Wilde lo mostra nudo. E’ una scelta coraggiosa e molto intelligente, che prefigura scenari vibranti e romantici e stabilisce un tono.
Però c'è anche un altro mood nel film, che si percepisce ad esempio nella scena di un picnic andato in malora per via della lingua troppo lunga di Emma. Forse perché ci ha ricordato La scampagnata di Jean Renoir, ci ha fatto pensare a quanto possa essere fugace la felicità, soprattutto per dei personagg destinati forse a non amarsi in eterno e a sprofondare forse nel grigiore di giorni sempre uguali.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali