Draft Day: recensione del film sportivo con Kevin Costner
L'attore americano interpreta il ruolo del general manager dei Cleveland Brown, alle prese con scelte non facili sul lavoro e nel privato.
Se, come avreste dovuto, in questi giorni avete visto quella straordinaria docu-serie che è The Last Dance, avrete anche avuto modo di capire quanto sia importante nel mondo dello sport professionistico (non solo) americano la figura del general manager, che poi in Italia è più o meno quella del direttore sportivo.
Un general manager è uno che può decidere di fare e disfare una squadra seguendo logiche sportive ed aziendali, anche se quella squadra sono i Chicago Bulls degli anni Novanta; un general manager è quello che può decidere, contro ogni logica tradizionale, di risollevare le sorti una squadra in disgrazia attraverso l’uso della statistica e degli algoritmi, come fece con gli Oakland Athletics il Billy Beane raccontato in Moneyball. Un general manager è quello che può fare di tutto e di più nel corso di quel momento cruciale dello sport americano che sono i draft, ovvero la selezione dei migliori giocatori provenienti dallo sport universitario o dalle leghe minori da parte dei team professionistici, rischiando di perdere o vincere tutto nell’arco di minuti, secondi, istanti necessari a prendere decisioni e stipulare accordi.
Quest’ultima è la cosa avviene al protagonista di Draft Day, che poi sarebbe un Kevin Costner centrato ed efficace come al solito, e affiancato da comprimari come Jennifer Garner, Denis Leary, Franco Langella, Ellen Burstyn e Chadwick Boseman, tutti in ruoli satelliti e accessori a quello principale.
Costner è Sonny Weaver jr., general manager dei Cleveland Browns, squadra della NFL, alle prese con una serie di scelte difficilissime nella giornata del draft, preso tra le pressioni del proprietario della squadra, il suo istinto, proposte di accordo dagli altri team, una fidanzata segreta che gli ha rivelato di essere incinta, il fantasma ingombrante del padre, leggendario allenatore dei Browns, appena morto, e giocatori che sognano di ottenere un contratto da lui.
Come il Billy Beane di Moneyball, anche Sonny si gioca tutta una carriera con le sue scelte, e lo fa non nel corso di una stagione, ma di poco più di 12 ore, con un contro alla rovescia implacabile che spesso si affaccia sullo schermo, a caratterizzare formalmente, assieme all’uso occasionale dello split screen, una regia di Ivan Reitman corretta e convenzionale.
Reitman non sarà Bennett Miller (anche se Miller è forse un po’ sopravvalutato), e di certo gli sceneggiatori di Draft Day, Scott Rothman e Rajiv Joseph, non valgono un’unghia dell’Aaron Sorkin di quel film, ma è indubitabile che quello che racconta la storia di Sonny Weaver è un film che funziona, e che è capace di coinvolgere raccontando una vicenda che da puramente sportiva, e sportiva non praticata, assume valenze altre, e più umane, nel senso più ampio del termine.
È vero che, con l’eccezione di quello di Costner, i personaggi del film sono poco più che abbozzati, e bidimensionali; ed è vero anche a volte il film scambia l’azione o lo sviluppo delle vicende per un dinamismo poco utile nelle zone periferiche dell’azione, ma è anche vero che tutto questo è in qualche modo funzionale a concentrare l’attenzione dello spettatore sullo stato di tensione e stress del protagonista, per il quale - in quelle 12 fatidiche ore - tutto ciò che avviene attorno a lui è in qualche modo superfluo, o secondario.
Reitman mira all’essenziale, e grazie alla presenza scenica di Costner, a una vicenda ben congegnata e qualche dialogo ben scritto, porta a casa un film che, come spesso accade, è capace di farsi forte dell’energia elettrica che genera la retorica sportiva, in questo caso resa ancora più evidente proprio perché in Draft Day non si parla tanto di sport giocato, quanto di vicende portate avanti - come nella realtà - come se fossero questioni riguardanti altri mondi cari al racconto cinematografico come quelli della finanza, della politica o del giornalismo.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival