Cinquanta sfumature di rosso: recensione del capitolo conclusivo della saga con Dakota Johnson e Jamie Dornan
Parola fine per la avventure erotico sentimentali di Christian e Ana.
La ruota gira per Christian e Ana(stasia), nella saga soft erotica di maggior successo della letteratura, e ora del cinema. Una ruota che per i primi due capitoli ha riportato i due personaggi sostanzialmente alla casella di partenza, ma che in questo conclusivo episodio, Cinquanta sfumature di rosso, finalmente regala qualche intreccio in più, addirittura thriller. In Italia ostinatamente legato a un colore, il rosso della passione, parola chiave per far concludere gli esercizi sadomaso quando Anastasia non si sente più a suo agio, è un film in cui ancora una volta si ripropone lo stesso schema dei primi due: la seduzione di un principe azzurro, seppur sempre più condizionato dalle sue pratiche sessuali non sempre gradite alla futura principessa; bello come il sole, ricco come pochi e capace di lusingare la bella con regali smisurati e uno stile di vita da nobiltà nell’era digitale.
Al terzo tentativo finalmente sposi - nella prima scena del film - i due riprovano la sfida della convivenza quotidiana, cercando di superare ogni problema con il dialogo. È Christian a dover smussare i suoi angoli, non solo sessuali, ma caratteriali: la sua possessività malata, una gelosia da tenere sotto controllo, e un mutismo estremo che mette ancora una volta a rischio il trionfo dell’amore fra Christian e Anastasia. A complicare le cose il ritorno di un folle antagonista, l’ex capo di Ana del secondo capitolo, Jack, guidato da una furia vendicativa tanto viscerale quanto poco comprensibile nei confronti della bella e felice coppia.
Formalmente non cambia molto, anche in Cinquanta sfumature di rosso, con una fotografia patinata, una ingenuità nei dialoghi e nelle situazioni che ricorda i romanticissimi film anni ’80 in cui un reale di qualche paese immaginario, spesso dell’est europa, si invaghiva di un/a gentile senza un soldo. Solo con un pizzico di manette e corde in più. Un film juxe-box, in cui lo sviluppo narrativo è didascalicamente accompagnato dal susseguirsi di canzoni pop, spesso proposte interamente, pronte a sottolineare le necessarie emozioni da attivare nello spettatore.
Sul versante erotico, bisogna dire che almeno la consuetudine fra i due aiuta una certa serenità nell’approccio - del film e dei due interpreti - alla nudità, sempre utilizzata con i canoni della pubblicità di intimo. Senza svelare niente del finale, la conclusione porta però tutta la serie verso il bivio definitivo: dimostrarsi una deviazione dalla (presunta) retta via del “sano” e “accettabile” sesso borghese fra congiunti, o rivendicare la libertà dei costumi, di quando, quanto e come toglierli nel privato del proprio boudoir? Insomma, un capriccio perverso per le notti invernali di Seattle o qualcosa di più duraturo? La risposta la darà la fine di questo terzo capitolo, che ha il pregio di esporsi di più rispetto alla continua attesa dei primi due capitoli, eternamente di passaggio verso altro.
Sono tutti belli e ben levigati, i personaggi del film, soprattutto Dakota Johnson e Jamie Dornan, a cui viene lasciato un po’ di peluria per sottolineare il necessario livello di virilità. Cinquanta sfumature è quindi giunto (per ora) alla fine: la creatura di di E.L. James, scrittrice dei romanzi da cui la saga cinematografica è tratta. È giunta a conclusione la sua grande sfida, il segreto che ha coinvolto decine di milioni di donne in tutto il mondo: una storia romantica, con la giusta dose di perversione sessuale, almeno sulla pagina scritta, e questo è evidente, ma soprattutto, l’ingrediente segreto è tutto lì, che racconti la grande scommessa che muove istintivamente la donna (ma anche l’uomo) da millenni: convertire l’uomo stronzo o fallato, cambiarlo, grazie a un lavoro ostinato e indefesso.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito