13TH - XIII emendamento: recensione del documentario Netflix candidato all'Oscar diretto da Ava DuVernay
Un film utile a far capire come la questione razziale negli Stati Uniti nasca dalla schiavitù e arrivi alle incarcerazioni di massa, con caratteristiche uniche al mondo.
La questione razziale statunitense non è qualcosa che ha a che fare solo con il razzismo, come comunemente lo intendiamo. Dietro a tutto quello che ha portato alla nascita di movimenti come Black Lives Matter ai nostri giorni, e prima ancora ai movimenti dei diritti civili degli anni Sessanta e Settanta, alla politica di figure come Martin Luther King, Malcolm X o le Black Panthers, c'è qualcosa di più complesso; qualcosa che l'Europa non ha conosciuto o che ha conosciuto in modo molto differente, e non sul suo territorio. Per questo, la questione razziale assume caratteristiche molto diverse tra Stati Uniti e Vecchio Continente.
Questo qualcosa è la schiavitù. L'importazione forzata e violenta di corpi neri dalle coste dell'Africa nel continente americano affinché questi corpi divenissero forza lavoro a costo zero. Dovrebbe essere chiaro, quindi, come la questione razziale statunitense non debba solo essere affrontata su basi etiche e etniche, ma considerando anche nel rapporto tra bianchi e neri, da secoli, sono in ballo faccende che riguardano il potere, il controllo autoritario e il dato economico. Dovrebbe, ma non lo è.
Di questo parla 13TH - XIII emendamento, il documentario firmato dalla regista di Selma, Ava DuVernay. O meglio, da qui parte (per poi tornarci) per spiegare l'anomalia carceraria che caratterizza gli USA di oggi.
Il XIII emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America, infatti, è quello che abolì e continua a proibire la schiavitù: ma che al suo interno contiene quello che viene definito un piccolo "bug", o meglio un "loophole". Stabilisce, infatti, che ogni forma di schiavitù è vietata, sì, ma specifica anche "a meno che non sia la punizione per un crimine".
Che allora, racconta la DuVernay, oggi il 25% dell'intera popolazione carceraria mondiale sia quella detenuta negli Stati Uniti, e che più del 40% di questa (che assomma a oltre 2 milioni e mezzo di persone) sia composta da neri, è una perversa e diretta conseguenza della prosecuzione della schiavitù con altri mezzi.
Come raccontano i professori, gli studiosi, i politici e gli attivisti (tra i quali anche Angela Davis) intervistati nel film, all'abolizione della schiavitù questi mezzi sono stati quelli di una quasi immediata nascita di una mitologia criminale dei neri: non a caso all'inizio di 13th si parla diffusamente di Nascita di una nazione di D.W. Griffith, con i suoi negri stupratori e con il KKK che grazie a quel film è rinato. E poi, ancora, attraverso forme di controllo come quelle della segregazione razziale e delle leggi Jim Crow, che passano sempre per il controllo di polizia e il sistema giudiziario.
Una volta superata, la segregazione è stata sostituita progressivamente da una politica federale sempre più orientata alla repressione e all'incarcerazione, che avuto come conseguenza la situazione drammatica che tutti conosciamo oggi. Le incarcerazioni di massa, quindi, come forma di controllo, repressione e nuova schiavitù, con un carcere prosecuzione dei campi di cotone e della fabbrica, e non come luogo di riabilitazione, complici interessi economici e lobbistici che passano per le aziende private che operano nel sistema carcerario e molto altro.
Nonostante tesi e conclusioni, non c'è nulla di radicale o di estremista, in 13TH - XIII emendamento.
Non c'è un solo intervento che non sia ancorato a fatti incontestabili e inequivocabili, anche quando si tirano in ballo la cosiddetta "Southern Strategy", le guerre alla droga di Nixon e Reagan (che avevano come primo bersaglio la cominità nera), o la politica in ambito giudiziario di Bill Clinton (che pure si è a posteriori pentito delle sue scelte). Coerentemente con le scelte del movimento Black Lives Matter, il film della DuVernay non è sovversivo né rivoluzionario, ma cerca solo di portare all'attenzione di tutti questioni passate sotto silenzio per negligenza o per ignoranza.
Documentari come questo, allora, che magari non sono particolarmente memorabili dal punto di vista cinematografico, che si appoggiano su una struttura molto tradizionale fatta di alternanze continue tra talking heads, immagini di repertorio e grafiche che devo illustrare e dare dinamismo, che magari non ha la forza politica e retorica di un personaggio (come invece l'ha I Am Not Your Negro, grazie alle parole di James Baldwin), trovano senso e valore nella loro testimonianza.
Perché la questione nera è sempre questione di corpi: termine che non a caso è sottolineato nel film da Khalil Muhammad, uno degli intervistati dalla DuVernay, come già fatto da Ta-Nehisi Coates nel suo libro "Tra me e il mondo". Corpi "animaleschi", corpi da controllare e ingabbiare, corpi da far lavorare.
Perché, e lo dicono gli stessi protagonisti del film, se non si capisce che tutto nasce e torna alla schiavitù, e al complesso intreccio di potere, controllo e sudditanze economiche che sono al cuore della questione razziale negli Stati Uniti, non si potrà mai affrontare compiutamente il problema delle relazioni tra popolazione bianca e popolazione nera negli States.
E 13th toglie a molti tutti i loro alibi.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival