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Il sorriso di Paolo Rossi: Walter Veltroni presenta È stato tutto bello - Storia di Paolino e Pablito

Walter Veltroni ha diretto un documentario su Paolo Rossi intitolato È stato tutto bello - Storia di Paolino e Pablito, che racconta l'uomo e il calciatore. Il film è stato presentato oggi alla stampa. C'erano anche Marco Tardelli e la moglie e il fratello del calciatore.

Il sorriso di Paolo Rossi: Walter Veltroni presenta È stato tutto bello - Storia di Paolino e Pablito

In questo 2022, in cui cade il quarantesimo anniversario dei gloriosi Mondiali di calcio del 1982, vinti dall'Italia di Enzo Bearzot, si torna giustamente a parlare di Paolo Rossi, che di quella competizione sportiva è stato l'inaspettato eroe e che ci ha lasciato improvvisamente nel 2020. A raccontare la sua avventura professionale e soprattutto la sua umanità e i suoi affetti è oggi il documentario È stato tutto bello - Storia di Paolino e Pablito. Diretto da Walter Veltroni, affianca alle classiche immagini di repertorio chicche inedite, a cominciare dalle immagini di un pranzo al Quirinale alla presenza di Sandro Pertini e degli Azzurri. Il film uscirà, distribuito da Vision Distribution, il 19, 20 e 21 settembre, per poi approdare su Sky.

Veltroni non è nuovo al documentario biografico, come dimostra, tra gli altri, Quando c'era Berlinguer, ma questa volta l'ex sindaco di Roma ha lasciato parlare le immagini e le testimonianze, mettendosi quasi completamente in disparte. Oltre a visionare un'immensa qualità di materiale, Walter Veltroni si è recato, insieme a Marco Tardelli e ad Antonio Cabrini, nei luoghi del Mondiale, andando per esempio a Barcellona, dove Enzo Bearzot e i giocatori fecero il ritiro. Questo viaggio nostalgico al punto giusto è presente nel doc, ed è soltanto uno dei tanti capitoli della storia di Pablito, laddove per Pablito si intende il Rossi calciatore. Poi c'è la storia di Paolino, e cioè del bambino appassionato di calcio che non immaginava certo di poter fare tre gol al Brasile di Zico, Socrates e Falcao. E’ soprattutto quest’ultima parabola che a Veltroni stava a cuore narrare, come lui stesso ha spiegato durante la conferenza stampa di presentazione del film: "La storia su cui ho lavorato di più è quella di Paolino, che poi è la storia di un italiano non particolare, con un famiglia normale, che non aveva una struttura fisica adatta al calcio, ma che possedeva un'intelligenza straordinaria e un carattere fortissimo. Ho raccolto tante testimonianze e documenti inediti, e sono stato aiutato da Federica, la moglie di Paolo, che ha messo a mia disposizione foto e video del suo cellulare. Ho cercato di narrare la vicenda di uno dei tanti ragazzi che giocavano su un campetto polveroso sognando di diventare campioni. Paolo Rossi ce l'ha fatta, ma principalmente grazie il dolore, sia fisico che emotivo".

La vita di Paolo Rossi, con lo stop di due anni a causa del presunto coinvolgimento nel brutto affare del calcio scommesse, si prestava, secondo Veltroni, al cinema, e questa è un'altra delle ragioni che lo hanno spinto a mettersi all'opera: "Ho conosciuto Paolo, l'ho intervistato, abbiamo presentato insieme un mio libro. Quando incontri le persone che sono state importanti per te, molto spesso resti deluso. Con Paolo non è successo. Paolo Rossi era la figura ideale per essere rappresentata in un film. Aveva una dimensione narrativa che lo rendeva interessante da un punto di vista cinematografico: per via del dolore, per le sue radici popolari, per le cadute e le ascese. Paolo poteva essere raccontato come un italiano. Noi italiani, vedete, siamo capaci di cadere e di rialzarci. Pensiamo per esempio all'epoca del terrorismo. Anche Paolo aveva questa virtù e l'ha esercitata nella sua vita in maniera istintiva. Quando aveva problemi al menisco, non si è mai arreso, quando si è dovuto fermare, è tornato e ha fatto 6 gol. Paolo Rossi è stato il prototipo del modo migliore di essere italiani, quegli italiani che cadono ma poi si rimettono in piedi".

La pre-produzione di E’ stato tutto bello - storia di Paolino e Pablito si è rivelata piuttosto lunga, perché bisognava studiare, documentarsi e districarsi fra interviste, cronache di partite, pagine scritte: "Abbiamo impiegato un anno e mezzo solo per raccogliere il materiale. Abbiamo cercato nelle Teche Rai e in tutti gli archivi possibili e inimmaginabili. Anche i famigerati social ci sono stati di aiuto, perché su Instagram ho trovato una ragazza di nome Serena Ionta che cantava accompagnandosi con l'ukulele. Le ho chiesto di cantare "Azzurro" e lei mi ha mandato la registrazione, e credo si tratti di una delle più belle versioni di "Azzurro" di sempre. I social possono aiutarci a scoprire talenti, e il nostro paese è pieno di talenti".

Ad aiutare Walter Veltroni a entrare nel privato di Paolo Rossi e di parlare della sua scomparsa è stata la moglie Federica Cappelletti, anche lei presente all'incontro con i giornalisti: "Il film è stato un viaggio molto interessante" - ha detto - "perché Walter è riuscito a tirare fuori il Paolo che io ho conosciuto, quello più privato. Ringrazio Walter per la sua delicatezza di racconto. La parte del documentario che riguarda me e le figlie è stata difficile da girare, sono stati momenti dolorosi. Paolo era morto da poco. Il garbo di Walter ha aiutato molto: Veltroni ci ha messo a nostro agio e riuscito a tirare fuori quello che forse in un altro momento né io né le bambine saremmo riuscite a tirare fuori. Paolo era una bella persona, anche e soprattutto fuori dal campo".

In È stato tutto molto bello ci sono dunque le testimonianze sia della donna che Paolo Rossi amava che delle due giovanissime figlie del calciatore. Una giornalista ha mostrato di non aver apprezzato questa scelta, e a torto l'ha definita o "alla Barbara d’Urso". Veltroni non si è scomposto di fronte a un simile commento e, da gentiluomo qual è, ha obiettato: "Io rispetto i bambini perché penso abbiano delle idee e delle cose da dire, e mi sarebbe sembrato sbagliato e grave fare un film su Paolo Rossi senza sentire le figlie con le loro voci sagge e gentili. Io ho fatto un documentario sui bambini e so che molti pensano che i bambini non siano capaci di esprimere le loro opinioni. I bambini a volte vengono usati, ma questa è un'altra storia. C'è voluto un po’ per organizzare l'intervista alle bimbe di Paolo. Federica le ha preparate e credo di aver affrontato questa parte del documentario con delicatezza e rispetto. Da figlio di un padre che non ho conosciuto, perché quando è morto, a 37 anni, io avevo un anno, ciò che amavo di più da bambino era sentir parlare di mio papà. Ho fatto fare alle bambine quello che avrei voluto fare io".

Durante la conferenza stampa del documentario, la dichiarazione più commovente è stata quella di Rossano Rossi, il fratello maggiore di Paolo. Anche lui fu mandato a Torino a giocare nella Juventus quand'era un ragazzo, ma si sentiva triste e solo, e così tornò a casa: "La mia esperienza nella Juve non è stata positiva. Mia mamma soffriva la mia lontananza, mio babbo no perché ci spingeva a fare sport. Mamma non aveva voglia di mandare via Paolo, ma io sapevo che mio fratello aveva il carattere per poterlo fare. Ho preso da parte mia madre e le ho detto: 'Mamma devi farlo partire, perché è il sogno della sua vita'. Paolo è partito e ha realizzato il suo e il nostro sogno. Devo ammettere che come centravanti ero bravino, ma Paolo mi dava una grossa mano".

A Rossano manca soprattutto il sorriso di Paolo Rossi, che era la prima cosa che si notava in lui. Anche Marco Tardelli ne ha nostalgia e ci ha tenuto a rievocare la nascita dell'amicizia con Rossi: "Avevo 20 anni quando ho conosciuto Paolo Rossi, lui era nei ragazzi della Juve. Se lo guardavi e lo vedevi sorridere non potevi non amarlo. Sono stato io a consigliarlo ai dirigenti del Como: dopo due mesi ha lasciato la squadra ed è andato a Vicenza, ed è stata la sua fortuna. Gli anni con Paolo sono stati meravigliosi, e quando Walter mi ha chiamato e ci ha portato a Barcellona, ho riprovato le emozioni di quel periodo. Rivedere quelle stanze che erano dei loculi è stata una cosa che mi ha quasi commosso. Anche io ho avuto dei fratelli straordinari che mi hanno aiutato a convincere i miei genitori che il calcio era la mia strada".

Quando avevamo incontrato Marco Tardelli per il documentario Italia 1982 - Una storia azzurra, ci aveva detto quanto i Mondiali in Spagna avessero liberato il nostro paese dalla morsa allo stomaco causata dalla tensione politica di quel tempo. Veltroni ci tiene a esprimere la sua opinione in proposito e a sottolineare che nessun trionfo sportivo ha mai significato tanto: "Credo non ci sia stata nessuna gioia sportiva paragonabile a quella dell'Italia dei Mondiali dell'82. Quella vittoria determinò la sensazione di un cambio di clima. Come tanti io uscii per strada, non eravamo più abituati a farlo. In quegli anni c'era il sangue a terra, si parlava dei rapimenti, il cielo era colorato di rosso. Quei 22 giocatori di calcio, insieme a Enzo Bearzot e al loro staff, hanno regalato all'Italia un cambio di fase. Le immagini inedite che ho trovato e che mostrano un pranzo al Quirinale con Sandro Pertini e la nazionale, ci restituiscono benissimo ciò che provò allora l'Italia. Le immagini che tutti conosciamo, come l'urlo di Tardelli o Zoff che bacia in fronte Bearzot, sono la memoria collettiva del paese. Volevamo liberarci dagli anni di piombo, e un pallone è stato emotivamente più forte del piombo".

In questi mesi molti hanno messo a confronto il calcio di ieri con il calcio di oggi. Qualcuno ha fatto notare a Marco Tardelli che una virtù che certo non caratterizza Cristiano Ronaldo & Co., ma nemmeno il nostro paese, è l'umiltà. L'ex giocatore si è dimostrato completamente d'accordo: "Di umiltà ne vedo ben poca intorno a noi. E' proprio dall'umiltà che si dovrebbe partire nel mondo dello sport. L’Italia in questo senso ha raggiunto ottimi risultati, anche se non nel calcio. Il fatto che per due anni di fila non ci siamo qualificati per i Mondiali la dice lunga. Forse abbiamo troppi stranieri e poco giocatori italiani all'altezza. Ci sono i giovani, ma sono pochi. Si deve rivedere qualcosa"..

"Ci sono delle qualità" - gli ha fatto eco Veltroni - "a cominciare dall'umiltà, che andrebbero esercitate. Ci deve preoccupare il grado di rissosità, di faziosità, di pregiudizio, di partito preso che attraversa il nostro paese e che è alimentato dai social, che sono spesso uno strumento per coltivare l'odio, l'invidia, il rancore. Queste cose fanno male al nostro paese, che ha tantissime qualità: la generosità, l'inclusività e la poesia, che poi sono ciò che permette alle persone di svegliarsi ogni giorno e di affrontare con determinazione le difficoltà".

Molti sanno che all'inizio dei Mondiali del 1982 la stampa si accanì contro Bearzot e gli Azzurri, massacrandoli di critiche. In tutta risposta la squadra decise all'unanimità che non avrebbe più rilasciato dichiarazioni ai giornalisti. Marco Tardelli sembra aver stemperato la rabbia di quelle giornate. E infatti conclude: "Siete giornalisti, ogni tanto volete attaccare senza conoscere bene le cose di cui parlate. Io la stampa la voglio anche ringraziare, perché ci ha fatto arrabbiare durante i Mondiali del 1982, dandoci la spinta per arrivare primi al traguardo".

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