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Come pecore in mezzo ai lupi, folgorante noir esordio di Lyda Patitucci con Isabella Ragonese presentato a Rotterdam

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Teso e cupo ritratto di due fratelli fra un passato doloroso e un presente non da meno, Come pecore in mezzo ai lupi è un convincente esordio per Lyda Patitucci, che abbiamo incontrato a Rotterdam insieme ai protagonisti Isabella Ragonese e Andrea Arcangeli.

Come pecore in mezzo ai lupi, folgorante noir esordio di Lyda Patitucci con Isabella Ragonese presentato a Rotterdam

Harbour. Un porto, ma anche un rifugio di tante storie diverse fra loro. Una sezione dell’International Film Festival Rotterdam, che ci ha colpito fin dal primo sguardo al programma, e un contenitore perfetto in cui collocare l’intrigante opera prima di Lyda Patitucci (ma c’è anche Esterno notte di Bellocchio), Come pecore in mezzo ai lupi

Specializzata nelle scene più dinamiche di un paio di Smetto quando voglio, Il primo re e Veloce come il vento, oltre ad aver diretto alcuni degli episodi della serie Netflix Curon, Patitucci esordisce con un noir crime affilato e cupo. Va dritto al punto, spingendosi in profondità nello scarnificare i personaggi, fisicamente come emotivamente, senza cedere al richiamo di svolte troppo conciliatorie.

Prodotto da Matteo Rovere per Groenlandia, scritto da Filippo Gravino e interpretato in maniera convincente da Isabella Ragonese e Andrea Arcangeli, Come pecore in mezzo ai lupi racconta di Vera, agente di polizia sotto copertura nella malavita slava di Roma, con cui condivide la conoscenza della lingua, da parte della madre morta giovane. Mentre si infiltra in una banda di rapinatori scopre che fra di loro c’è il fratello, Bruno, con cui ha in comune un passato doloroso ma non un presente in cui i due non si vedono ormai quasi più. Lui è impegnato a regalare un futuro alla figliola, Marta, proteggendola in qualche modo dalla madre tossicodipendente.

“La sceneggiatura toccava le corde di quello che mi piace vedere come spettatrice”, ci ha detto la regista, nel corso di un incontro a Rotterdam. “Mi intrigava come al centro ci fosse il racconto di un rapporto fra fratelli, un tipo di relazione unica che mi tocca molto da vicino, avendo un’esperienza molto stretta con mio fratello. Non è molto comune che sia il traino emotivo di una storia, ancora di più con protagonisti un fratello e una sorella. Ho visto la possibilità di inscatolarlo in dei codici che sento nelle mie corde. Per molto tempo mi sono occupata dell’aspetto tecnico della regia, dirigendo delle seconde unità. Come pecore in mezzo ai lupi mi ha permesso di lavorare sui personaggi, ma all’interno di un contesto che richiede una struttura tecnica per me stimolante. È stata un’unione che mi stimolava molto”.

Un crime thriller molto teso alla Don Winslow, per parlare di letteratura, poco usuale dalle nostre parti e che rimanda agli archetipi classici del genere, con una protagonista che si è costruita una corazza inscalfibile, almeno in apparenza. “È raro che venga proposto a un’attrice un ruolo di questo tipo”, ci ha detto con evidente entusiasmo Isabella Ragonese. “Sono film di un genere che non si fa molto in Italia, più semmai con protagonisti uomini. Con una donna secondo me la storia cambia completamente. Partendo da un punto di vista femminile si innescano delle dinamiche che cambiano la direzione di un genere che ha le sue regole. Mi sono tuffata felicemente, cerco sempre di mettermi in difficoltà, di fare cose diverse. Non l’avrei fatto se non avessi avuto fiducia in Lyda, nel suo entusiasmo e nella sua competenza, perché per me, anche da spettatrice, è un mondo nuovo. È stata un’occasione incredibile per lavorare su altri piani, più fisici. Abbiamo fatto un allenamento intenso, sia io che Andrea, poi in molte scene parlo un’altra lingua. È un film sulle relazioni travestito da noir, con un personaggio femminile non scontato, dalla vita oscura e irrisolta. È stato particolare raccontare Vera, decidere cosa svelare di lei, con una tensione continua fra quello che le passa per la testa e quello che può far vedere. Una sperimentazione bellissima dal punto di vista recitativo, non far veder troppo, ma allo stesso tempo permettere allo spettatore di cogliere delle emozioni. È un personaggio sempre compresso”.

Reduce da un ruolo molto muscolare come quello in Romulus, già Divin codino e Muto di Gallura, Andrea Arcangeli si è gettato anima e dieta nei panni di Bruno. Come ci ha detto, “La forza del film è il suo sorreggersi su una struttura più d’autore che crime, con al centro le relazioni, così i personaggi si reggono su basi solide, non si buttano solo in scena a sparare. Si portano dietro un trascorso enorme solo accennato, che volevamo fosse raccontato prima di tutto dal corpo. È stato fondamentale quindi lavorare sul fisico. È la prima volta che facevo il papà di una bambina così grande, è stato bello creare un rapporto con lei. Ero terrorizzato, non è così piccola da prenderla e costringerla a essere tua figlia. Dovevo creare fin da provini un rapporto, è stata una delle fase più belle. Carolina Michelangeli, che interpreta la piccola Marta, è stata fantastica. Vorrei poi fare un endorsement a Isabella, un’attrice che venero da quando non immaginavo ancora di fare l’attore. Mi sono anche appoggiato a lei, rispecchiando il rapporto fra sorella e fratello dei nostri personaggi”.

Una storia sospesa, in cui i legami sono scarnificati e poco interessati a quello che accade attorno, con molte scene recitate in serbo, luogo di provenienza dei membri della banda criminale. “La città è presente, non viene nascosta, ma non ci interagiscono mai. È una piccola storia di pochi personaggi che doveva andare in profondità, è un film molto intimo. In fondo la comunicazione, l’aprirsi o meno con l’altro, che il più delle volte passa per la prevaricazione, la violenza o il nascondersi, è il punto centrale del film. Se due fratelli interrompono ogni rapporto e si rincontrano in questa maniera, si torna alla difficoltà di comunicazione interiore. Li vedo come due alter ego: da una parte una donna che ha tutto sotto controllo nella vita lavorativa, ma internamente ha una immaturità e una confusione esemplare, dall’altra un fratello che è esattamente l’opposto, è centratissimo emotivamente, ma nella vita pratica è un disastro”.

Per Isabella Ragonese una prova tutta interiore e con pochi dialoghi, vista la corazza con cui Vera si protegge a distanza da quello che la circonda. “È come quando perdi un senso e si acuiscono gli altri. Quella sottrazione può anche essere una forza. Vera per lavoro, e come automatismo anche nella vita personale, dovrebbe non lasciar trapelare nessuna emozione. La sfida è stata dare pugni con le mani legate, riuscire a comunicare un’emozione profonda nella tenuta, un esercizio di disciplina molto interessante. Anche un’immagine di spalle può trasmetterti qualcosa. Quella di Vera per me è stata una delle sfide più grandi”. 

Due personaggi con molto in comune, però, come ricorda Arcangeli. “Era bello vedere come fossero uno il contraltare dell’altro. Una vive nell’incapacità di comunicare e l'altro nell’incapacità di non comunicare. È tutto fuori, anche se lui è piccolo, è uno scricciolo. Mi piaceva che fisicamente raccontasse una cosa mentre emotivamente è un’esplosione e cerca qualcosa che non sa da dove tirare fuori. È come se a ognuno mancasse quello che ha l’altro”. Come aggiunge Isabella Ragonese, “come fratello e sorella hanno una storia comune, che ha portato lui all’autodistruzione fisica e lei a potenziarsi per diventare un supereroe e combattere. Un trauma comune che porta a due strade diverse e, come spesso succede con i fratelli, ci si trova di fronte a uno specchio che fa male, si rifiuta di vedere nell’altro la radice comune della propria storia”.

foto di Andrea Pirrello
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