Christopher Walken: il ballerino con l'aria da straniero e il miglior monologo della storia del cinema
Abbiamo incontrato Christopher Walken al Filming Italy Sardegna Festival e con lui abbiamo parlato de Il cacciatore, I cancelli del cielo, Dogman e Pulp Fiction, in cui ha avuto in dono da Quentin Tarantino uno dei monologhi più belli di sempre.

Nella prima giornata della sesta edizione del Filming Italy Sardegna Festival, tutti i protagonisti della manifestazione cinematografica diretta da Tiziana Rocca hanno partecipato alla conferenza stampa inaugurale. Nonostante la presenza del fascinoso Dominic West e di un Dennis Quaid un po’ sgualcito ma sempre di gradevole aspetto, a ipnotizzarci è stato Christopher Walken. Guardandolo, pensavamo a Nikanor "Nick" Chevatorevich de Il cacciatore e alla sua roulette russa e, naturalmente, a Pulp Fiction di Quentin Tarantino e perfino a Hairspray. Per questo siamo stati felicissimi di incontrarlo e di sentirlo parlare di un'epoca gloriosa come gli anni '70, periodo in cui cominciava ad affermarsi la cosiddetta Nuova Hollywood. Puntualissimo e sorridente, Walken si è seduto insieme a noi giornalisti intorno a un tavolo e ha risposto a ogni nostra domanda con precisione e generosità. Nonostante gli 80 anni compiti a marzo, Christopher ha ancora voglia di lavorare, in particolare con i registi di ultima generazione o giù di lì. Ne apprezza molti, ma il suo preferito, che poi tanto ragazzo non è, è David O'Russell. Mentre ci auguriamo che quest'ultimo legga l’articolo di uno dei presenti e chiami immediatamente Christopher Walken, l'attore ci parla della magia della sala cinematografica: "Quando ero un ragazzo, per vedere un film si andava al cinema. Ricordo che il prezzo del biglietto ammontava a 50 centesimi. Per mezzo dollaro potevi vedere due film, dieci cartoni animati e le notizie sportive. Insomma potevi trascorre tre o quattro ore in una sala. Te ne stavi seduto al buio. Oltretutto erano in pochi ad avere l'aria condizionata a casa, quindi durante l'estate si andava al cinema solamente per stare al fresco. Adesso la situazione è completamente diversa: puoi guardare un film sullo smartphone o su una piattaforma streaming. Ci sono film molto in voga che io non ho mai visto, anche perché non ho internet a casa, non possiedo nemmeno un cellulare. Quando vedo un film in televisione, lo faccio attraverso il satellite, ma i film sono sempre gli stessi, e comunque ce ne sono diversi che non ho visto. È da tanto tempo che faccio parte dell'Academy, e fino a non molti anni fa mi mandavano i CD dei film in gara. Adesso non lo fanno più, perché i film possiamo vederli in streaming, il che significa la maggior parte mi sfugge".
Christopher Walken è entrato nel magico mondo del cinema in tempi non di cinecomic e non di sequel e remake, ma più che guardare con diffidenza la nostra contemporaneità, non si capacita dei budget stellari dei grandi blockbuster: "Quando ho cominciato a fare l'attore di cinema, un film poteva costare 10 milioni di dollari, che per l'epoca era una cifra quasi astronomica. Adesso, invece, mi capita di leggere che i blockbuster di oggi costano duecento, trecento, quattrocento milioni di dollari. Per alcuni versi è una buona cosa, ma con queste cifre si potrebbero fare molti più film su scala ridotta, quindi vorrei che non ci fosse tanta differenza di budget fra quelli che chiamiamo i tent-pole movies - che sono principalmente cinecomic e film d'azione - e i film più piccoli. Quando ero giovane, un film da 10 milioni di dollari era un film ambizioso, adesso è un piccolo film. Forse ricorderete che ho recitato in un film intitolato I cancelli del cielo. È diventato famoso per quanto è costato, e cioè 35 milioni di dollari, che adesso non corrispondono affatto a una cifra esagerata".
Qualcuno torna su Il cacciatore e in particolare sulla guerra, e Walken fa le sue considerazioni. "La guerra è una cosa terribile" - dice - "e la guerra in Ucraina sembra particolarmente crudele per via dei civili - uomini, donne e bambini - che sono stati uccisi. Quando le persone nominano Il cacciatore, dicono: 'Parla di questo, parla di quest'altro'. Per me parla di giovani uomini che pensano che la guerra sia un'avventura, un'impresa eroica, ma la realtà è un incubo, un massacro in cui ti esplodono le gambe. Credo che Il cacciatore sia più di ogni altra cosa un film sulla cattiva interpretazione della guerra".
La filmografia di Christopher Walken è smisurata, però ci sono registi con cui non ha mai lavorato e che spera possano un giorno chiamarlo a recitare: "Ho avuto la fortuna di essere diretto da Steven Spielberg, che è eccezionale, così come da Mike Nichols. Ho lavorato diverse volte con Abel Ferrara, e sul set eravamo praticamente fratelli. Ci sono poi i registi con cui avrei voluto collaborare. Ad esempio non sono mai stato diretto da Martin Scorsese. Ho sempre ammirato tanto Bernardo Bertolucci e Sydney Pollack, insomma è pieno di filmmaker bravi.
Per fortuna Walken ha avuto l'onore di fare, per Quentin Tarantino, il monologo più bello della storia del cinema. Il film era Pulp Fiction e l'attore dava a un bambino, che poi sarebbe diventato Bruce Willis, un orologio appartenuto a suo papà. "Ho fatto due film con Quentin Tarantino" - racconta Walken. "Di solito le sceneggiature che scrive non sono proprio complete. Nel caso di Pulp Fiction, ho avuto il copione tre o quattro mesi prima dell'inizio delle riprese. Stavo facendo altro e quindi dedicavo un'ora al giorno al monologo, che era lungo 8 pagine, quindi lo studiavo quotidianamente e, ogni volta che arrivavo alla fine, ero felice! Per fortuna avevo tempo e così l'ho imparato per bene e l'ho recitato l’ultimo giorno di riprese. Quentin aveva girato tutto il film, gli altri attori erano andati a casa, e quindi c'eravamo solo Quentin ed io, e il bambino e la madre del bambino, che erano presenti nella scena. Arrivai sul set la mattina, cominciammo a girare e, a un certo punto, il bambino si stufò e allora decidemmo di mandarlo a casa, anche perché io recitavo per lo più guardando la macchina da presa. Così ci rimettemmo al lavoro e all'ora di pranzo portammo a casa la scena. Non c'era nessuno e io continuavo a dialogare con l'obiettivo della macchina da presa, ma conoscevo bene la mia parte, quindi non è stato poi così difficile".
Christopher Walken ha spesso interpretato personaggi ambigui. Lui ne è perfettamente consapevole e prova a spiegare la ragione di questa sua caratteristica, che però non è l'ambiguità, né l'imperscrutabilità, né una qualche forma di follia: "Una volta un americano, mi ha detto: 'Tu sei un attore straniero', e io: 'Che vuoi dire?', e lui: 'Nel senso che sembri provenire da un luogo diverso'. Io credo che ciò abbia a che vedere con il fatto che sono cresciuto dentro al mondo dello spettacolo, cosa che è accaduta a poche persone, e quindi in me c'è un che di strano, e so bene che il termine 'strano' può confondersi con la parola 'sinistro', e probabilmente è questa la ragione per cui vengo visto come un uomo ambiguo".
Christopher Walken non è un attore schizzinoso o capriccioso, e non ha rifiutato tantissimi ruoli. Da uomo pratico, spiega che deve pur lavorare, ma che a guidare le sue scelte sono il regista, la sceneggiatura, i compagni di set e, non ultime, le location: "Se mi propongono un film ambientato al Polo Nord, probabilmente rifiuto. Se invece mi dicono di fare un film in Sardegna, accetto subito".
Forse tutti non sanno che, prima di diventare attore, Mr. Walker era un ballerino. La sua adorata mamma amava la danza e aveva iscritto i tre figli maschi a una scuola di ballo: "Ero un ballerino già da bambino e ho calcato la scena teatrale partecipando a diversi musical. Dopodiché mi hanno offerto un copione, sempre teatrale, che ho accettato per caso, e casualmente sono diventato un attore. Mi hanno chiamato per fare un film e il resto è storia. Credo che, nonostante la recitazione, resto sempre un ballerino".