Generazione 56K, Recensione: La nuova serie Netflix è il viaggio nei ricordi di cui avevamo bisogno

01 luglio 2021
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Realizzata in collaborazione con The Jackal, la comedy di 8 episodi è disponibile in streaming da oggi. Ecco perché chi è cresciuto negli anni '90 non può proprio perderla: la recensione.

Generazione 56K, Recensione: La nuova serie Netflix è il viaggio nei ricordi di cui avevamo bisogno

Avete presente quando i vostri genitori vi tediavano con la solita frase che iniziava con: "Ai miei tempi..."? Ecco, guardando Generazione 56K - la nuova serie italiana di Netflix prodotta da Cattleya e realizzata in collaborazione con The Jackal disponibile in streaming da oggi - vi renderete conto che quelle persone, adesso, siete diventate voi. Perché chi è nato tra la fine degli anni '80 e gli inizi dei '90 non può non identificarsi nei protagonisti di questa comedy, cresciuti tra walkman e videocassette e ritrovatisi da adulti in un mondo iper tecnologico. Romantica e nostalgica, Generazione 56K è un calderone di emozioni da cui è difficile prendere le distanze. Ma ci proveremo in questa recensione.

Generazione 56K, la trama: L'amicizia e l'amore prima e dopo internet

Generazione 56K - basata su un’idea originale di Francesco Ebbasta (storico regista dei The Jackal) e da lui scritta insieme a Costanza Durante, Laura Grimaldi e Davide Orsini, che ne è anche head writer - è prima di tutto una storia d'amore che nasce nel 1998 e continua, inaspettatamente, ai giorni nostri. I protagonisti sono Daniel e Matilda (Angelo Spagnoletti e Cristina Cappelli nella loro versione adulta e Alfredo Cerrone e Azzurra Iacone in quella da ragazzini), due compagni di scuola cresciuti sull'isola di Procida che si ritrovano dopo oltre vent'anni a Napoli. Ma il tempismo, si sa, in questi casi è sempre un pessimo alleato e il loro incontro sconvolge inevitabilmente le loro vite da adulti. Adulti di una generazione, quella del titolo, che grazie a internet ha così tante possibilità da avere paura di fare sempre la scelta sbagliata, nel lavoro, nelle relazioni personali e soprattutto in amore. Accanto a Daniel ci sono gli amici di sempre Luca e Sandro (Gianluca Fru e Fabio Balsamo nella versione adulta e Gennaro Filippone ed Egidio Mercurio in quella da bambini) che insieme a lui sviluppano app, un lavoro che sembra quasi la naturale evoluzione di quello che facevano da bambini, quando procuravano ai loro compagni floppy disk con foto osé scaricate grazie alla lentissima connessione con il modem 56K.

Generazione 56K

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L'incontro e lo scontro tra atmosfere antiche e contemporaneità

Questa storia viene raccontata andando continuamente avanti e indietro nel tempo, tra la Procida degli anni '90 - calda, color pastello e che ricorda volutamente le atmosfere mediterranee de Il Postino - e una Napoli modernissima dove i protagonisti vanno a vernissage e a feste di divorzio. Non una Napoli da cartolina ma una città profondamente europea e piena di vita, dove si sviluppano le app ma anche dove si mangiano ancora i taralli caldi sul lungomare. Le due linee temporali si intrecciano in modo naturale con uno stile di regia - curata nei primi quattro episodi da Francesco Ebbasta e nei restanti quattro da Alessio Maria Federici - ben riconoscibile. Anche i personaggi, sia da adulti che da bambini, sono ben caratterizzati nonostante qualche cliché ereditato dalle commedie romantiche americane (ma cosa potevamo aspettarci da chi - come gli autori - è stato adolescente nei primi anni 2000?). La storia scorre veloce e si fa guardare facendo scendere pure qualche lacrimuccia. Ma d'altronde chi non piange cantando al karaoke Come mai degli 883?

Generazione 56K

La lezione di Generazione 56K: Rompere il bottiglione dei ricordi

Insomma, non emozionarsi guardando Generazione 56K è praticamente impossibile. Chi ha vissuto internet come un bene di lusso e fuggiva a gambe levate quando arrivavano le bollette, chi tornava a casa e faceva partire un trillo su MSN e chi oggi ha paura di diventare grande (anche se grande lo è già) troverà questa serie irresistibile. Un viaggio nella memoria a cui si perdonano anche qualche ingenuità nella sceneggiatura e un finale, per certi versi, prevedibile. Se c'è un messaggio, importante, che gli autori vogliono far passare è che a un certo punto della vita bisogna avere il coraggio di chiederci cosa ci rende davvero felici. Anche rompendo quel bottiglione dei ricordi - e guardando la serie capirete questa metafora - che ci tiene legati al passato e a quella parte di noi più pura che abbiamo dimenticato.



  • Giornalista professionista
  • Appassionata di Serie TV e telespettatrice critica e curiosa
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