Zombieland: Doppio colpo - la recensione del sequel 10 anni dopo

07 novembre 2019
2.5 di 5

Gli autori fanno il minimo sforzo, raddoppiando formule e cliché, per compiacere il popolo nerd, ma il risultato è fiacco e non convince.

Zombieland: Doppio colpo - la recensione del sequel 10 anni dopo

Squadra che vince non si cambia, anche se vince ai rigori e di stretta misura. Quando nel 2009 Benvenuti a Zombieland venne presentato alla stampa europea al Festival di Sitges (e noi c'eravamo), ci divertimmo molto. Poi, come spesso accade alle commedie horror, da noi il film non arrivò nemmeno in sala ma fu distribuito direttamente in homevideo. Nel resto del mondo il primo film di Ruben Fleischer non incassò tanto, ma si creò uno status da cult movie, grazie soprattutto alle novità che aveva saputo portare al genere e alla spassosa sorpresa dell'apparizione di Bill Murray. Quello che un tempo si sarebbe definito un film demenziale, è diventato a tutti gli effetti una commedia nerd. Tornando sullo stesso territorio dieci anni dopo, è questo aspetto che gli autori hanno deciso di sottolineare, con battute e situazioni inizialmente divertenti ma che, ripetute, finiscono per perdere d'efficacia.

Il primo film ruotava attorno alla formazione di un'improbabile famiglia, composta da quattro individui danneggiati in un mondo in rapida dissoluzione, con cui si rideva e ci si identificava. Qua li ritroviamo invecchiati e demotivati, costretti a uscire dal comodo rifugio che hanno trovato all'interno della Casa Bianca (ma non vi aspettate battute al vetriolo sull'attuale occupante: in questo universo non c'è Trump e non è la satira politica l'obiettivo del film) dalla crisi del loro nucleo famigliare. Little Rock non è più la bambina a cui Tallahassee fa da padre putativo e non solo si sente oppressa dal suo essere iperprotettivo e dal suo inconscio desiderio di plasmarla a immagine e somiglianza del figlio perduto, ma le tempeste ormonali dell'età la spingono a desiderare e cercarsi un compagno. Wichita e Columbus vivono insieme come una vecchia coppia sposata, col peso e la noia dell'abitudine che si fa sentire nonostante l'amore che ancora li lega. La fuga della piccola di casa (Abigail Breslin è così cambiata in dieci anni da essere irriconoscibile) assieme a una specie di hippy spaccone, Berkeley, è quella che spinge i nostri a uscire dalla loro comfort zone e a confrontarsi col mondo umano, oltre che con quello non umano, di Zombieland.

Se apprezziamo il tentativo riuscito – e non era certo facile, visto gli impegni e le rispettive carriere di tutti i coinvolti - di rimettere in campo la stessa identica squadra, che ce la mette davvero tutta per andare a segno, non ci convince però la struttura a singhiozzo della trama, che procede per gag e situazioni di breve durata senza un solo sviluppo sorprendente. Dagli autori di Deadpool era lecito aspettarsi qualcosa di più delle parti, pur divertenti, in cui viene descritta l'evoluzione degli zombi in contrasto con quella che appare un'involuzione di quelli che sono rimasti umani. Poco riuscito appare ad esempio l'inserimento dei nuovi personaggi, a partire dall'idiota Madison della pur brava Zoey Deutch, che nella versione italiana diventa ancora più fastidiosa di com'era probabilmente intesa, per non parlare della decisione di dare a Tallahassee un interesse amoroso e della veloce apparizione e scomparsa di una specie di doppio dei protagonisti, Albuquerque e Flagstaff, interpretati da Luke Wilson e Thomas Middleditch.

L'intento di questo sequel del resto è dichiarato fin dal titolo, che non si riferisce solo alla regola numero 2, che invita a dare sempre il colpo di grazia per esser sicuri di aver colpito a morte lo zombi. Ma allude, essenzialmente, al desiderio di raddoppiare (e ripetere) quello che già c'era nel primo film: le regole, dette e ridette, le situazioni (al posto della villa hollywoodiana di Bill Murray la Casa Bianca e Graceland) e le battute. Questo sicuramente funziona per chi va al cinema senza eccessive aspettative (a Lucca Comics & Games il pubblico, va detto, rideva di gusto), ma delude chi voleva una storia originale e necessaria per un sequel arrivato a distanza di così tanto tempo.

Forse sono proprio gli anni passati il problema principale del film: anche se il The Walking Dead televisivo prosegue, pur senza il successo dei primi anni, la serie a fumetti si è conclusa nel luglio scorso col numero 193: la battuta di Columbus in proposito sembra quindi arrivare troppo tardi e risulta meno efficace. Nel frattempo, però, è scomparso George A. Romero e il film non rende neanche un omaggio verbale alle creature da lui create e senza le quali non esisterebbe. Perfino la scena sui titoli di coda, per quanto molto divertente, è comunque un'autocitazione, come se il mondo di Zombieland fosse l'unico che esiste e condannasse chi ci vive a ripetere se stesso. Il che, a ben pensarci, è il destino comune a molti sequel. 



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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