Zamora: recensione del primo film da regista di Neri Marcorè in concorso al Bif&st 2024

20 marzo 2024
3.5 di 5
9

Neri Marcorè esordisce dietro alla macchina da presa adattando il romanzo Zamora di Roberto Perrone e fa un film delicato e leggero sull’Italia del boom economico e su un giovane uomo di provincia. La recensione di Carola Proto.

Zamora: recensione del primo film da regista di Neri Marcorè in concorso al Bif&st 2024

È un'Italia vivace, allegra e ambiziosa il paese, anzi il bel paese, nel quale Neri Marcorè ambienta Zamora. È l’Italia del nord, per la precisione, quella industriosa, efficiente e produttiva di una Milano non ancora da bere nella quale l'uomo si identifica con il proprio ruolo lavorativo, e quindi abbiamo il Cavalier Tosetto, l'Ingegner Gusperti e soprattutto il Ragionier Vismara, Walter Vismara, che poi è il protagonista di questa storia scritta da Roberto Perrone nel 2003 in forma di romanzo. 

Ora, Vismara non è certo Ugo Fantozzi, asservito alla Signorina Silvani o imbottigliato nel traffico della capitale nella sua Bianchina. Però, come il personaggio inventato da Paolo Villaggio, subisce le partite tra scapoli e ammogliati organizzate dalla sua azienda, che non è poi così lontana dalla famigerata Megaditta. Walter non è un looser come Fantozzi, piuttosto è un puro prodotto della provincia, nel nostro caso Vigevano. E poi la sua vicenda, che è un romanzo di formazione, si svolge un po’ prima, e cioè nell'unica Belle Époque che abbia conosciuto il nostro paese, reso ubriaco dal boom economico e convinto di poter avere ogni cosa a portata di mano. Neri Marcorè, che ai tempi era bambino, lo ha vissuto nei ricordi familiari e nei racconti dei più grandi, ma anche lui arriva dalla provincia e, 20 anni fa, "il" Vismara lo avrebbe potuto interpretare lui perché gli somigliava: nelle sue paure, nei suoi pregiudizi e nelle sue timidezze, superate anche grazie al cinema, in particolare quello di Pupi Avati, che lo ha diretto in un'altra storia di timidezza: Il cuore altrove. A questa caratteristica Walter aggiunge la presunzione di chi si vanta di conoscere le risposte alle domande di Mike Bongiorno in Rischiatutto e le ripicche di chi non accetta un rifiuto e prepara meticolosamente una stupida vendetta.

Rispetto ad Avati, che lascia che i suoi film siano attraversati dalla nostalgia e dalle memorie giovanili, Marcorè guarda all'oggi e parte dal suo sgomento di fronte alla violenza sulle donne per soffermarsi su un femminile solido, intraprendente e artefice del proprio destino. Certo, l'azienda che ha impiegato Walter ricorda l'agenzia pubblicitaria di Mad Men, dove le donne, specialmente nelle prime stagioni, erano quasi tutte segretarie, ma rispetto al Don Draper di Jon Hamm, il nostro protagonista si muove in un contesto meno competitivo o forse "diversamente competitivo", e se compie un percorso di crescita, è perché lascia spazio all'amicizia con uno che ha perso più di lui: un ex portiere di calcio ridotto in miseria e incline al bere, e siccome non siamo nella tentacolare New York ma in una realtà dove il benessere è alla portata di ognuno, si insinua nel racconto quella leggerezza e dolcezza che Neri Marcoré ama per esempio nel cinema francese, e che qui diventa delicatezza e rispetto per i personaggi e le loro fragilità. Il tallone d'Achille di Vismara è l'impossibilità di giocare bene a calcio, sport che qui rappresenta la vita, e il fatto che Walter impari a parare i tiri diretti in porta significa che può prendersi la responsabilità non solo di se stesso, ma di un intero team, sia esso, fuori metafora, la famiglia o l'ambiente professionale. Il portiere è anche il giocatore che più rischia di farsi male, perché è il solo che realmente si butta, consapevole che, nella peggiore delle ipotesi, dopo un gol preso, si rialzerà.

Neri Marcoré regista è molto attento alla ricostruzione d'ambiente, come dimostrano le scenografie deliziosamente retrò, le utilitarie dell'epoca simili a piccoli insetti panciuti e il look dei personaggi, a cominciare dal loden e dagli occhiali da vista di Walter. Ma Walter non sarebbe Walter se il regista non lo avesse affidato ad Alberto Paradossi, un attore che ci aspettiamo di vedere sempre di più e felicemente diverso da tanti che, per sovraesposizione, un po’ ci hanno stancato. Paradossi aderisce al personaggio e rende umane e "accettabili" la sua vigliaccheria e le sue rivalse infantili.

Zamora è un film in cui anche per i ruoli più piccoli sono stati affidati agli attori giusti, che quindi danno ognuno un colore a un film arcobaleno in cui Marcoré mette Franz di Ale e Franz, Giovanni Storti, Antonio Catania e Giovanni Esposito, accanto alla battuta forse più divertente di Bianca e Palombella rossa rubata da Nanni Moretti ai Fratelli Taviani di San Michele aveva un gallo.

Marcorè ha detto, durante la conferenza stampa di presentazione di Zamora al Bif&st 2024, che fare il regista gli è piaciuto molto e che ha intenzione di continuare. Anche lui, come Walter, si è affidato alla vita senza troppi calcoli e soprattutto, a fine corsa, ha capito che l'esperienza umana era stata probabilmente più bella di quella lavorativa. Ci sembra una cosa positiva e siamo convinti che, finché ci saranno filmmaker animati dal bisogno di imparare, di comunicare e di eccellere nella magnifica e rara virtù dell’empatia, possiamo stare tranquilli. Zamora è davvero un gioiello, e certamente qualcosa che, nella sua classicità, ha la freschezza e la spontaneità del nuovo.



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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