Wonder: recensione del commovente inno alla diversità con Julia Roberts e Owen Wilson

18 dicembre 2017
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La storia di un bambino che conquista i suoi coetanei nonostante una deformità.

Wonder: recensione del commovente inno alla diversità con Julia Roberts e Owen Wilson

La diversità fisica può essere un problema, specie quando la malattia deforma il proprio aspetto, come il cinema ha raccontato in più occasioni, a partire dalla pietra miliare Freaks, passando per un gioiello come The Elephant Man. Quando poi è un bambino a sottoporsi allo sguardo dei propri compagni, in un contesto in cui il bullismo è un rischio in ogni caso, allora la diversità diventa un rischio assoluto. Dopo essere stato rinchiuso in una stanza per anni in Room, il giovanissimo Jacob Tremblay si è sottoposto a un trattamento quotidiano per rendere il suo volto irriconoscibile, a causa di una malattia molto rara, in Wonder, adattamento del bestseller omonimo di R.J. Palacio. Auggie ha 10 anni, è cresciuto in casa, dove la madre ha curato in prima persona la sua educazione, mentre con 27 operazioni ha cercato di rendere il suo viso meno respingente. Sogna lo spazio, coltiva un amore per le scienze e quando esce di casa si nasconde in un casco da astronauta. Star Wars, come inevitabile, è la sua saga di culto, all’interno della quale è un altro prigioniero della propria diversità, Chewbecca, il suo vero eroe.

La grande sfida, arrivato all’età per frequentare la prima media, è quella di affrontare lo sguardo dei propri coetanei, capaci di perfidie da far impallidire gli adulti. Uscire dal nido domestico, protetto dall’amore della madre Julia Roberts e dall’ironia del padre Owen Wilson, oltre che dalla pazienza affettuosa della sorella, non sarà facile come vincere una gara di scienze. Wonder è un film per ragazzi, ritagliato su misura per loro, che non nasconde la propria volontà pedagogica di inno alla diversità, portato fino in fondo, con sincerità. In un momento della vita in cui si cerca di confondersi con gli altri, anche a costo dell’omologazione, racconta come ognuno di noi si distingue per qualche caratteristica, sia esteriore o interiore, invitando i ragazzi a coltivare uno sguardo analitico, curioso, che non si fermi alle apparenze.

Non è solo Auggie, poi, ad essere unico; ognuno dei personaggi lo è, e questo viene mostrato dal film con una lodevole capacità di allargare il discorso, di spostare alternativamente il punto di vista sulle persone che vivono intorno a lui, dalla sorella trascurata dall’attenzione per il fratellino, alla sua migliore amica incapace di cercare l’abbraccio di chi le vuole bene quando il matrimonio dei genitori va a rotoli.

Nella ricerca della felicità che impegna ogni personaggio, giorno dopo giorno, senza rinunciare a una belle dose di ironia, ci sembra di riconoscere il tocco dello sceneggiatore Steve Conrad, autore de I sogni segreti di Walter Mitty e della sottovalutata serie televisiva Patriot. L’inevitabile dose di melassa dell’ultimo terzo del film è più digeribile grazie al lavoro di grande sensibilità dei due adulti, la Roberts e Wilson, mentre Tremblay dimostra di essere uno dei piccoli attori più promettenti di Hollywood. Stephen Chbosky conferma la capacità di lavorare sulle linee d’ombra dei giovani alla ricerca della propria identità dimostrata con Noi siamo infinito.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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