Vengo anch'io: recensione della commedia on the road di Corrado Nuzzo e Maria Di Biase
Non un film di comici ma un racconto garbato con due personaggi bastonati dalla vita.
Sono proprio due belle persone Corrado Nuzzo e Maria di Biase, che da tempo formano una smagliante, affettuosa ed energetica coppia tanto nel lavoro quanto nella vita. Sono due belle persone e questo non dovrebbe influenzare la nostra valutazione della loro prima avventura dietro alla macchina da presa. Eppure la influenza eccome, perché solo da tanta positività, dolcezza, joie de vivre e umiltà potevano nascere personaggi così stravaganti nel senso più felice del temine e una storia che è prima di tutto umana e carica di empatia.
Diciamolo subito: Vengo anch'io, che per i registi e attori che fanno anche teatro e tv ha significato prima di ogni altra cosa rispetto della storia e degli uomini e le donne che la popolano e la portano avanti, non è il solito film di comici, non procede per "strappi" o balzelloni, o gag in puro stile slapstick e battute a raffica improvvisate magari sul set. No, Vengo anch'io è una commedia come se ne vedono ben poche, in cui due personaggi inizialmente quasi estremi (una bomba di esuberanza e grinta lei, un abulico piuttosto sconsolato lui) si avviano verso un processo di normalizzazione e quindi di avvicinamento allo spettatore e si scambiano le parti, o meglio la forza e "le palle", diventando più incerta e disarmata (e disarmante) la prima e più scaltro il secondo.
Fin dall'irresistibile scena di apertura, nella quale un ragazzo vestito da pilota di Formula 1 guarda un documentario sui lemming e ripete ogni singola parola della voce inglese che accompagna le immagini, capiamo di avere di fronte uno strano e "coccoloso" animale, un delicato apologo sull'accettazione dell’altro da sé (e da molti) che si traduce in uno sguardo affettuoso verso le debolezze, siano esse una malattia mentale o forme più o meno gravi e curabili di depressione. Depresso, tanto per cominciare, è l’assistente sociale Corrado che per miseri 30 Euro accompagna in Puglia la paffutella Maria dagli occhi azzurri e le labbra vermiglie, che è appena uscita dal carcere con una busta piena di sex toys e l’urgenza di tornare dalla figlia per vederla vincere una gara di canottaggio. E nemmeno lei è di umore roseo, visto che non ha ancora metabolizzato l'abbandono da parte dell'uomo amato in gioventù.
Interpretando questa coppia per forza come se la conoscessero da sempre e puntando sull'intesa perfetta che da tempo caratterizza il loro gioco attoriale - e avvalendosi di un "grillo parlante" con la sindrome di Asperger (Gabriele Dentoni) che aggiunge un sapore nuovo alla buffa pietanza che ci serve il racconto - Nuzzo e Di Biase rendono il viaggio da Milano al Salento un vero spasso, aprendo però la porta a squarci di romanticismo, di "stralunamento" e di sana disillusione che evitano a Vengo anch'io di cadere nella trappola della banalità e che sono in totale accordo con i loro personaggi, che appartengono alla categoria di quelli che sono stati bastonati.
A volte, se ci pensiamo - e il film ne tiene conto - nella vita c'è poco di cui stare allegri, perché, ad esempio, crescere un figlio da soli non è che sia proprio facile e se in corpo ci sono troppe benzodiazepine e poche motivazioni per sorridere appena alzati, allora può traquillamente capitare che qualcosa laggiù funzioni male e non risponda "ai comandi".
"Variegato" e imprevedibile com'è, Vengo anch'io procede spedito e con un ritmo scoppiettante lungo una strada che attraversa buona parte del nostro stivale, ma quando arriva sul mare il film perde un po’ della sua verve, perché i problemi familiari di Maria e forse anche di Corrado trovano una soluzione forse troppo sbrigativa, con una figlia (Cristel Caccetta) a cui non viene quasi dato il tempo di dire la sua o di reagire al soggiorno della madre in gattabuia e all'ingresso nella sua esistenza di un eventuale padre e un eventuale fratello.
Questa seconda parte, però, è punteggiata di attimi di sincera freschezza e di momenti comici e meno comici in cui da Corrado, Maria e Aldo esce un candore che trova nei pantaloni in stile pigiama di Nuzzo il suo simbolo, il simbolo di un cinema che parla una sua personalissima lingua e che ai mattatori della comicità su grande schermo (Vincenzo Salemme su tutti) offre solo particine, un cinema che non ci dice che il sesso in crisi dev'essere quello maschile mentre le donne sono toste e invincibili, un cinema, infine, che rivendica il diritto dei looser a smettere di sentirsi inadeguati e ad afferrare con slancio la coda di un arcobaleno che si chiama felicità, stato mentale da raggiungere non necessariamente comportandosi da brave persone ma anche imbrogliando un po', ammesso che poi ci si penta.
- Giornalista specializzata in interviste
- Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali