Una spia e mezzo: la recensione del buddy movie con Dwayne Johnson e Kevin Hart
Commediola leggera e quasi trascurabile, non fosse per il solito The Rock che tiene in piedi la baracca.
Fa sembrare tutto facile, The Rock.
Quando il suo personaggio in questo film, adulto, racconta all’ex compagno di liceo come ha fatto a passare dall’adolescente obeso, umiliato e bullizzato che era, alla montagna di muscoli che conosciamo tutti, risponde: “Beh, mi sono allenato sei ore al giorno tutti i giorni per vent’anni. Lo possono fare tutti, no?” Ecco, Dwayne: no. Non lo possono fare tutti.
E, allo stesso modo, non possono permettersi tutti di affrontare con la tua splendida incoscienza un ruolo come quello di Una spia e mezzo, brutto titolo italiano, al solito, per Central Intelligence. Un ruolo dove giochi a fare l’idiota ma sei capace di essere durissimo, dove flirti senza timore con l’ambiguità sessuale che è propria, in fondo, di ogni buddy movie presentandoti con una t-shirt con gli unicorni a fasciare pettorali e bicipiti e un marsupio in vita, facendo il tenerone un secondo prima di spaccare la faccia a qualcuno con le tue manone.
Perché solo tu, oggi, sai essere in un solo film l’Elliot Wilhelm di Be Cool e il Luke Hobbs di Fast & Furious.
Fa sembrare tutto facile, The Rock. Anche lo sprezzo del ridicolo. E se e quando Una spia e mezzo funziona il merito non è certo del regista e sceneggiatore Rawson Marshall Thurber, né di un Kevin Hart un po’ irritante nel suo incessante birignao. Né tanto meno di una trama che affastella in modo un po’ confuso commedia, spionaggio d'azione alla Jason Bourne, e messaggio edificante contro il bullismo. Il merito è di Dwayne Johnson, che non a caso viene da quella straordinaria scuola di recitazione che è la WWE: altro che l’Actors Studio.
Nonostante tutti i tentativi del copione di dare spessore al personaggio di Hart, uomo qualunque che vive il suo glorioso passato scolastico come il metro del suo fallimento, e che è destinato a una riscossa esistenziale basata sul “ma guarda che bella vita che hai, su”, è il Bob Stone (già Robert Wheirdicht, che in inglese suona un po' come Roberto Cazzostrano) di The Rock il motore di tutta la storia, con la sua capacità di alternare sorrisi e cazzotti come in un film di Bud Spencer, e perfino con la credibilità (relativa, per carità) di raccontare come i traumi subiti dai bulli del liceo siano ancora tutti lì, sotto i muscoli, in attesa di essere veramente superati.
Il resto è cinema estivo per famiglie americane, leggero e innocuo, con l'aggiunta di cammei di Aaron Paul, Jason Bateman e Melissa McCarthy. E con qualche battuta riuscita (“sembri un Will Smith nero”, dice Johnson a Hart verso la fine del film) e un paio di gustosi riferimenti a film anni Ottanta come Un compleanno da ricordare e Il duro del Road House, vere ossessioni di Bob Stone.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival