Tre di troppo: la recensione della commedia di e con Fabio De Luigi insieme a Virginia Raffaele
Godersi la vita e sopportare con raccapriccio gli amici con figli. Proprio non vogliono averli i due protagonisti della commedia Tre di troppo, anche se uno scherzo del destino li sottopone a uno stress test. Recensione del secondo film di Fabio De Luigi anche protagonista al fianco di Virginia Raffaele.
Ogni scelta ha una conseguenza, in una vita che ce ne presenta ogni giorno. È una questione di tempi, anche per la seconda regia di Fabio De Luigi, Tre di troppo: quelli misteriosi del fantastico che sconvolgono la vita della coppia di protagonisti e quelli comici di De Luigi e Virginia Raffaele, alle prese con una commedia che mette in primo piano il garbo e la creazione di situazioni al tempo stesso buffe o divertenti e vagamente realistiche, pur nella loro eccentricità. Insomma, nell’universale bivio figli o non figli tutti possiamo riconoscerci, con la soddisfazione di notare la laicità (in senso ampio) della posizione presa da questa storia. Non ci sono etichette o imposizioni, si respira una salutare aria di libertà e disincanto, ma non di superficialità.
Cominciamo da Marco (Fabio De Luigi) e Giulia (Virginia Raffaele). Sono in coppia da anni, se la passano bene e si godono un buon tenore di vita: serate a ballare il liscio il venerdì sera, una vita lavorativa di tutto rispetto abbinata a una forma fisica atletica e i vestiti giusti. È tutto inamidato nella loro quotidianità, sa di abiti stirati e profumati come la barba hipster (si può ancora dire?) della “Barberia” molto alla moda di Marco. Il problema arriva quando nel fine settimana devono far visita agli amici con prole, per di più recidivi e pronti a sfornare altri pargoli. È l’occasione per il conflitto fra stili esistenziali che genera i momenti più divertenti di Tre di troppo, in cui la commedia lavora in primo piano e i due protagonisti confermano la loro naturale simpatia e bravura, con la bella complicità degli altri interpreti, su tutti Barbara Chichiarelli e Renato Marchetti.
Non avrebbe senso il titolo se non capitasse un accidente che porta i due, una bella mattina (si fa per dire) a trovarsi in casa tre minorenni di differente età, sesso e grado di devastazione. Ecco l’altro conflitto che guarnisce la seconda parte della commedia, sconvolgendo l’ordine e imponendo una tempesta inizialmente sconvolgente ma che poi comincia a sollevare qualche dubbio, un sorriso appena accennato, il lavoro di un sopracciglio o magari un battito del cuore in più. Sempre laicamente, come detto, senza miracoli sulla via della genitorialità o esibite conversioni ai limiti del mistico. Certo, i tre pargoli aiutano a scaldare anche noi spettatori, e non è mai male vedere sgretolate le certezze granitiche e far emergere una volta di più il sacrosanto dubbio, la sfumatura che rallenta la marcia con il pilota automatico e propone nuovi punti di vista.
Impossibile rispondere a cosa sia la felicità e come possa precipitare nella vita di ognuno di noi, su questo non avevamo speranze in un intervento risolutorio di De Luigi e compagnia. Però un’ora e mezza e poco più di divertimento senza banalità sono un convincente analgesico per i tempi cupi, un digestivo a presa rapida, anche se magari dalla durata limitata, per le asperità delle feste in famiglia. Un punto di ripartenza - dato dal rispetto per lo spettatore e la cura per la scrittura e i tempi comici - per un genere in decisa difficoltà negli ultimi tempi in Italia come la commedia.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito