Tornare: recensione del dramma di Cristina Comencini con Giovanna Mezzogiorno, film di chiusura della Festa di Roma 2019
Le due tornano a lavorare insieme in un altro film sulla violenza e l'oppressione della libertà femminile.
“Non c’è passato, non c’è presente e non c’è futuro, il tempo è solo un modo per misurare il cambiamento”. È con questa frase che Cristina Comencini ci propone, prima dell’inizio di Tornare, un vero manifesto delle sue intenzioni. Parole di Carlo Rovelli, il più poetico e letterario dei fisici italiani, diventato recentemente autore di inattesi bestseller. Il titolo ce lo conferma in maniera chiara: siamo di fronte al ritorno soprattutto emotivo di Alice (Giovanna Mezzogiorno), la protagonista, nella casa di famiglia, quando la memoria e alcuni incontri la portano indietro a una trentina d’anni prima, al 1967, quando viene improvvisamente mandata dai genitori, su tutti dal padre militare in una base Nato di Napoli, a vivere e studiare negli Stati Uniti, terra da cui proviene.
L’occasione per il suo ritorno, dopo un’assenza molto prolungata, è proprio la morte del padre, a cui non assiste lasciando l’incombenza alla sorella, che l’ha seguito in un lungo periodo di malattia insieme a un loro coetaneo, Mark, amico misterioso del padre che le si presenta come se dovesse essere ben noto anche a lei. Una splendida villa scoscesa, una vista mozzafiato sul golfo di Napoli e il Vesuvio, sviluppata in verticale, scavata nella roccia, sempre più giù fino al mare. L’acqua, la roccia levigata, la matrioska con cui gioca il nipote di Alice, insistite metafore che rimandano all’ossessivo fluire del tempo, unico in grado di cambiare e far dimenticare, di spazzare via il passato pronto ad accogliere il futuro. Una stratificazione di ricordi che si affastellano nella memoria in maniera selettiva, vai a capire perché mai un ricordo rimane e uno è stato rimosso. Terreno d’azione per la psicanalisi e per questa storia della Comencini che tenta di trasformare in un racconto coinvolgente per il pubblico proprio l’opera di riemersione di ricordi dolorosi dalla memoria.
Alice si trova a riaprire una pagina chiusa, quella della sua adolescenza e di un trauma che l’ha sconvolta, e riesce a farlo grazie all’aiuto della giovane Alice di trent’anni prima. Un dialogo insistito, alternato con incontri sempre più intimi con l’affascinante Mark (Vincenzo Amato), in cui allo specchio finisce la genesi di un rapporto complesso con gli uomini, con il suo corpo e la sua sessualità. Una pagina come troppe sulla soffocante oppressione maschile della libertà di esprimersi compiutamente delle donne. Non solo l’esplicita violenza che rende ogni atteggiamento, ogni espressione della propria libertà, una giustificazione per approfittare delle ‘buttane’, ma anche la complicità indiretta, ossessionata dal quieto vivere, di chi dovrebbe proteggerla e rispettarla al suo massimo questa femminilità, come il padre, e invece pensa(va) solo alla rispettabilità sociale. Un clima cupo in cui si confonde la violenza con l’amore, già al centro dell’ultimo film con la Mezzogiorno della Comencini, La bestia nel cuore.
Tornare ci accompagna in un mondo sospeso fra le cose della realtà e quelle della fantasia, un limbo instabile da cui Alice può uscire solo scegliendo di aprire ogni porta, di scendere fino alla grotta più remota dei suoi ricordi per poter poi distinguere la realtà e vivere la fantasia come tale. Tematiche cruciali, oggi come ieri, messe in scena con fin troppe insistite metafore, che appesantiscono in maniera insistita il fluire del racconto, nella ricerca di una mai raggiunta gravitas: l’andatura di Alice, i suoi stessi vestiti, l’uso delle musiche, i dialoghi, in generale la sottolineatura stessa dei personaggi, monodimensionali come in un thriller dalla soluzione facilmente anticipatile. Questo non aiuta i protagonisti, più convincenti in altre occasioni, mentre si distingue la vitalità spontanea dell'esordiente Beatrice Grannò, nei panni di Alice da ragazza. Il film non riesce a rendere la profondità della tematica, la complessità delle ambizioni. Un tema cruciale per la nostra società che qui rischia di essere banalizzato, oltretutto, da una (ri)soluzione sbrigativa.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito