Tomb Raider: recensione del nuovo film tratto dal celebre videogioco con Alicia Vikander nella canotta di Lara Croft

14 marzo 2018
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In bilico fra ironia e pesantezza già vista.

Tomb Raider: recensione del nuovo film tratto dal celebre videogioco con Alicia Vikander nella canotta di Lara Croft

Nella prima sequenza del nuovo Tomb Raider è contenuto il manifesto stesso di questo reboot, oltre a una risposta alle critiche piovute sulla scelta per il ruolo di Lara Croft dello scricciolo Alicia Vikander, sicuramente poco procace, molto meno di chi l’ha preceduta al cinema nello stesso ruolo, Angelina Jolie. La vediamo impegnata in un incontro di arti marziali miste, in cui ne riceve, più che darne, e di santa ragione. Come dire, siamo ben consapevoli che la Vikander non sia l’iper muscolare protagonista della prima stagione del videogame, ma è per la sua capacità di reagire, di rispondere colpo su colpo, di rialzarsi dopo essere finita al tappeto, che per noi incarna l’eroina contemporanea, oltre che una versione più recente della stessa Lara Croft.

La resilienza così tanto in voga oggi è la dote principale di questa piccoletta tutta nervi e autoironia, dal sorriso disarmante e la cocciutaggine che la spinge a vivere ai limiti della povertà, in una Londra molto gentrificata, invece di accettare la morte del padre, sparito da sette anni, e intascare i gigalioni dell’eredità.
I Croft sono proprietari di un maniero imponente nella campagna britannica, e ‘da grandi averi derivano grandi responsabilità’, che il padre ha affrontato cercando di salvare il mondo, molto più che occupandosi della gestione quotidiana delle tante aziende di famiglia. A quello ci pensa la fidata Kristin Scott Thomas, che si occupa di salvare Lara quando si mette nei guai.

Ma i guai veri arriveranno quando si metterà in viaggio sulle tracce del padre, destinazione finale un’isola inabitata e difficile da raggiungere al largo del Giappone. Il tutto passando per il porto di Hong Kong, dove la vediamo alle prese con una delle sequenze, insieme a un inseguimento in bici per le vie di Londra, che rimandano all’andamento frenetico del videogioco, quello giocato a tutta manetta e grandi colpi di pollice sul joystick. Sono proprio queste prime fasi, quelle in cui Lara è ancora alle prese con una quotidianità non apocalittica, che questo reboot intrattiene piacevolmente, confermando le doti carismatiche della Vikander

Quando la trama inizia a proporre un incrocio fra La mummia, la serie di Stargate e uno scimmiottamento di Indiana Jones la questione si fa decisamente più stucchevole, perdendo in leggerezza e incamminandosi lungo un territorio noto e mille volte raccontato (meglio) al cinema. La Vikander si impegna in una gara completa di decathlon, fra foreste, dirupi e cascate, prima di violare la tomba di un’antica leggendaria e perfida regnante del Giappone antico. Del resto, parliamo di Tomb Raider, e bisogna rendere onore al titolo, oltre che lottare contro una perfida multinazionale intenzionata a sfruttare poteri mitologici per fini malvagi.

Gli anni passati dalla precedente incarnazione del videogame, diretta nel 2003 da Jan de Bont con Angelina Jolie, hanno fatto montare una curiosa patina di nostalgia per quella modestissima pellicola. Non che questa versione sia convincente, ma almeno si prende meno sul serio, per meno tempo, e l’umanità data dalla signora Fassbender rimane una delle cose migliori del film, non certo il suo problema principale. Totalmente anonima la sceneggiatura di Geneva Robertson-Dworet, per qualche motivo in gran voga a Hollywood, e al lavoro sui prossimi Captain Marvel, Silver & Black e un altro ritorno, Dungeons & Dragons. La regia, pervenuta solo per gli scossoni continui della macchina da presa, è del norvegese Roar Uthaug, dal nome e dalla carriera dedicata a rabbiosi film di genere. Per le pistole gemelle bisognerà aspettare l’ovvio sequel di questo reboot, preannunciato da un siparietto con un barbuto Nick Frost. Se per il nuovo capitolo venisse su per la regia il suo sodale Edgar Wright, non sarebbe male. Ma non sarà così e, non per indugiare in una pillola di fanta recensione, ma sarà un peccato.



  • critico e giornalista cinematografico
  • intervistatore seriale non pentito
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