The Last Showgirl, la recensione: un The Wrestler al femminile, con una Pamela Anderson vicinissima a sé stessa

26 marzo 2025
2.5 di 5

Ben realizzato e corretto, ma non particolarmente incisivo, questo nuovo film di Gia Coppola, nipote di Francis. E senza quella protagonista, sarebbe stato tutto un altro film. La recensione di The Last Showgirl di Federico Gironi.

The Last Showgirl, la recensione: un The Wrestler al femminile, con una Pamela Anderson vicinissima a sé stessa

Siamo lontanissimi dalle Showgirls di Paul Verhoeven, e assai vicini al The Wrestler di Darren Aronofsky. Il che, considerato tutto, non è necessariamente un bene.
Certo, qui si parla dei palcoscenici dei casinò di Las Vegas e non dei ring nelle arene di wrestling in giro per gli New Jersey, ma è davvero difficile evitare di mettere in relazione la storia di Shelley, ballerina di varietà oramai un po’ agé che deve fare i conti con il tempo che passa, e quella del lottatore Randy, alle prese con problematiche assai simili. E a mettere in parallelo le due trame, ecco che sia l’una che l’altro devono cercare, nel corso della durata del film, di riallacciare i rapporti con delle figlie cui questi genitori non si sono dedicati quanto avrebbero dovuto.
Non è necessariamente un bene, dicevo, perché in questo modo The Last Showgirl rischia di essere un po’ un clone al femminile del film con Rourke che ha vinto Venezia; e se ci mettiamo pure che entrambi sono girati in 16mm, con la grana ben in evidenza sullo schermo, il quadro è completo. E forse Gia Coppola avrebbe fatto bene a tenere un po’ più da conto l’incompreso e sottovalutato film dell’olandese, se non altro per dare l’impressione di conoscere - o aver fatto lo sforzo di conoscere - davvero, o un po' meglio, il mondo e i personaggi che racconta.

Il tocco di genio di The Last Showgirl, ovviamente, sta tutto nella scelta dell’attrice protagonista, una Pamela Anderson che per stessa sua ammissione, magari indiretta, ha rivisto molto di sé e della sua vita in questo personaggio, al quale si è dedicata con una passione sincera e in grado di trapelare sullo schermo (un po’ come avveniva con Rourke, ma ora basta paralleli, lo prometto).A Hollywood e al pubblico americano queste storie e queste immedesimazioni piacciono tantissimo, e non è un caso che quindi per la Anderson siano arrivate la nomination al Golden Globe, agli Screen Actors Guild Award e ai Gotham Independent Film Award. Ma non è che all’improvviso la nostra amata Pamela, icona degli anni Novanta, sia diventata una grande attrice: non lo era ai tempi di Barbwire, e non lo è oggi. Semplicemente, si è applicata un po’ di più, e ha fatto sé stessa.

Nonostante una forma pure gradevole, perché Coppola nipote e la sua DOP Autumn Durald girano abbastanza bene e il 16mm è bello da vedere, alla fine The Last Showgirl - che abbiamo detto non avere in una trama derivativa, ma anche prevedibile, il suo punto di forza, come non lo ha nelle tematiche un po’ banali (la comunità di lavoro come una grande famiglia, la maternità, l’invecchiamento che alle donne non viene perdonato) - è un film di attori.
E allora dobbiamo dirlo: nonostante la chiave femminile e pure un po’ femminista, che più di Pamela Anderson, più di una Jamie Lee Curtis generosissima ma troppo forzata, più delle giovani comprimarie, i migliori del cast sono due maschi: un Dave Bautista davvero notevole, in un ruolo tutto sottotono, e il cugino di secondo grado della regista, Jason Schwartzman, che appare in un cammeo breve ma assai significativo.
Ah, a proposito di parentele: interessante anche la scelta di scegliere Billie Lourd - figlia di Carrie Fisher, con tutto quello che questo comporta - nel ruolo della figlia della protagonista,



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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