Sharper: la recensione del film su AppleTV+
In streaming dal 17 febbraio su Apple TV+ c'è un nuovo thriller Apple Original con un cast composto da Julianne Moore, Sebastian Stan, John Lithgow, Justice Smith e Briana Middleton. Recensione di Federico Gironi.
Sharper è diviso in capitoli. Ogni capitolo ha il nome di uno dei personaggi protagonisti.
Il primo si chiama Tom, che è il nome del personaggio interpretato da Justice Smith, un ragazzo che lavora - commesso? proprietario - in una bellissima libreria di Manhattan. Anzi, del Greenwich Village. Succede, all’inizio di Sharper, che nella libreria di Tom entri Sandra (Briana Middleton), studentessa alle prese con un dottorato sul femminismo afroamericano e alla ricerca di un vecchio classico, e succede che Tom, un po’ cane bastonato ma non del tutto patetico, ci provi in maniera goffa e tenera con Sandra, e succede anche che, tira e molla, i due vanno a cena insieme, e poi a letto, insieme, e insomma nasce quella che sembra una bella storia d’amore.
Solo che poi, in Sharper, in un dialogo con alcuni amici di Tom, viene piantato il seme del dubbio, perché forse Sandra non è quella che dice di essere, e insomma, senza stare a dire troppo, viene fuori che Sandra ha bisogno di soldi per un fratello tossico in difficoltà, una grossa cifra e che Tom, anzi suo padre, quei soldi lì ha a disposizione.
Fermiamoci qui. Perché è bene non dire altro.
Perché Sharper - che non è comparativo di maggioranza, ma nome, il nome che si da agli esperti truffatori, specie nel mondo dei giochi di carte d’azzardo - riserva sorprese, o perlomeno sorprese presunte, che non è bene andare a svelare. Così come non è il caso di svelare quale sia l’intreccio di relazioni che lega i personaggi di Tom e Sandra a quelli del misterioso ma poco raccomandabile Max di Sebastian Stan, alla socialite newyorchese Madeline di Julianne Moore e al suo ultra-ricco quasi-marito Richard, alias John Lithgow.
Fatto sta che tutto, in Sharper, ruota attorno al denaro, alla ricchezza: la ricchezza di chi la possiede già, e di chi la vuole ottenere.
Fatto sta che in Sharper quasi nulla, e quasi nessuno, è quello che sembra, o vuole sembrare, e ribaltamenti di ruolo e prospettiva sono inferiori solo ai doppi e ai tripli giochi.
Non sarà forse originalissima (così come è più astuta che intelligente), la sceneggiatura - già Black List - di Brian Gatewood e Alessandro Tanaka, ma funziona: precisa e oliata.
Da parte sua il regista Benjamin Caron, uno che viene dalla tv, qui alla sua prima regia cinematografica, ha l’intelligenza (e l’umiltà) di mettersi al servizio della storia e delle sue mille giravolte, stando bene attento a essere altrettanto preciso, e seduttivo come lo sono i personaggi che racconta, avvalendosi della notevole fotografia in 35mm della danese Charlotte Bruus Christensen (una che ha girato film come Il sospetto, Molly’s Game, La ragazza del treno, La cena delle spie) per esaltare le mille luci e i mille riflessi, e quindi gli inganni, di New York, città-personaggio a tutti gli effetti, e delle musiche di astratte, seducenti, sintetiche e raggelanti di Clint Mansell.
È elegantissimo, quindi, Sharper.
Un film tutto di superficie, che però sotto nasconde una critica evidente alla rapacità senza cuore né sentimento del mondo moderno, ma che da questa sua critica non si fa mai sopraffare, nel segno di una voglia di essere intrattenimento che è evidente anche nell’intensità e nel divertimento che tutti gli attori protagonisti di questo film lasciano trapelare dalle loro performance.
Post-soderberghiano, il film di Caron non si concede nemmeno ragionamenti o rivincite di classe, come poteva essere ai tempi della Stangata, perché una certa corruzione morale, ai tempi del benessere superficiale ostentato sui social, dove tutti cercano di dimostrarsi di più (belli, ricchi, allegri) di quel che sono, nella speranza di diventarlo realmente credendoci abbastanza, è oramai endemica e interclassista.
La sola rivincita possibile, dice Sharper, è sentimentale.
A quel poco di sentimento che ancora non scivola via sulla superficie fredda e indifferente della vita, come una goccia di pioggia sulla vetrata di un grattacielo con vista su Central Park.
Il paradosso è che, sulla superficie di Sharper, quei sentimenti rischiano di scivolare via anche loro, e che a tenersi aggrappata con le unghie e i denti sia invece la rapacità senza scrupoli di chi pensava, a torto o a ragione, di meritare dalla vita carte migliori di quelle ricevute, e che per andare avanti si è dovuto aiutare con la sua arma a disposizione: l’ingegno.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival