Seven Sisters: recensione del film con Noomi Rapace che interpreta ben sette personaggi
Presentato al Torino Film Festival è un film di fantascienza con venature politiche.
Lo spunto di partenza di Seven Sisters è uno di quelli che giustificano da soli la visione di un film, sviluppato in una sceneggiatura sepolta nella blacklist hollywoodiana - i copioni più interessanti ancora non realizzati - da quindici anni, prima che il norvegese Tommy Wirkola ci mettesse mano. Quindi si discosta da altre storie di fantascienza distopica recentemente di gran moda, emanando più che altro un profumo orwelliano. Siamo nel 2073, il mondo assomiglia al nostro, a parte un particolare decisivo: l’organismo che governa il mondo con maniere dolci in apparenza, dittatoriali nei fatti, ha imposto da anni l’obbligo di un figlio per nucleo familiare. Non molto dissimile, come imposizione, da quella che ha caratterizzato la politica di controllo delle nascite in Cina fino a non molti anni fa.
L’aumento delle nascite ha costretto la creazione di un’istituzione che si occupi del rispetto di questa legge, guidato da una sorridente ma perfida Glenn Close, che sovrintende all’ibernazione dei neonati in eccesso. Una notte una donna muore dando alla luce sette gemelle, sarà il nonno a trovare il modo di salvarle tutte, chiamandole come i sette giorni della settimana, imponendo a ognuna di uscire solo il giorno corrispondente al suo nome, mentre all’esterno la loro identità è quella della solitaria impiegata Karen Settman.
Wirkola costruisce un opprimente contesto in cui la protagonista si muove, impreziosendo la prima parte del film con riferimenti politici e sociali, in fondo beffardamente non troppo fantascientifici, non cedendo alla tentazione di raccontare tutto e subito, ma conducendoci piano piano nella quotidianità di questa famiglia molto particolare, costruendo il loro passato attraverso flashback e la figura del nonno, il solito convincente Willem Dafoe. Un mondo grigio, in cui il sorriso è bandito, ricreato in Romania, fra gli studi di Bucarest e Costanza, in cui si muove con sorprendente maestria Noomi Rapace, non la nostra attrice preferita, ma qui davvero senza paura e convincente nei panni delle sette sorelle, ognuna con un suo carattere e look ben preciso. C’erano giorni in cui l’interprete svedese doveva girare scene per ognuna delle sette.
Sembra poco credibile, ma il virtuosismo di far interpretare tutte le sorelle a un’unica attrice funziona, grazie a pochi dettagli che permettono a noi spettatori di distinguerle, godendoci almeno un paio di scene con tutte presenti che francamente sono una goduria per gli occhi. È tutto il comporto tecnico e visivo a fare un buon lavoro, in un film che diventa via via più action, e meno originale, rispetto alla prima parte, ma in cui un paio di sorprese giungono al momento giusto, assestando un bel colpo al ventre dello spettatore. Intrattenimento piacevole, quindi, per Seven Sisters, un altro dei tasselli di un cinema anche d’azione che non si nega più ruoli cruciali femminili.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito