Renoir, la recensione del film di Chie Hayakawa in concorso al Festival di Cannes 2025

17 maggio 2025
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In corsa per la Palma d'oro l'opera seconda della regista giapponese Chie Hayakawa, che aveva esordito nel 2022 con Plan 75. La recensione di Renoir di Federico Gironi.

Renoir, la recensione del film di Chie Hayakawa in concorso al Festival di Cannes 2025

Il ritratto di Irène Cahen d'Anvers, noto anche come “la bambina con il nastro blu”, è celebre quadro di Pierre-Auguste Renoir che ritrae una bambina di otto anni. Anche il secondo film della regista giapponese Chie Hayakawa, già autrice di Plan 75, è il ritratto di una bambina, o se preferite di una ragazzina: ecco allora uno dei motivi del suo titolo, Renoir. Il ritratto di Hayakawa è quello di Fuki, 11 anni, grande immaginazione, un padre in ospedale con un cancro terminale e una mamma che si divide tra le cure al marito, il lavoro, e lascia alla figlia una libertà grande, forse eccessiva. Non siamo nella Francia di fine Ottocento, ma nei sobborghi di Tokyo di fine anni Ottanta, e il nostro punto di vista rimane quello di Fuki dall’inizio alla fine, compresi quei momenti in cui la fantasia della protagonista prende il posto della realtà nelle inquadrature che si alternano davanti ai nostri occhi.

Chie Hayakawa racconta una storia che la riguarda da vicino (suo padre era malato ed è morto quando lei era piccola), ma non si concentra solo sulla malattia, perlomeno non nella maniera più banale e esplicita, ma racconta il mondo esteriore e soprattutto esteriore della piccola Fuki, e come gli eventi familiari ne plasmino lo sguardo, il pensiero, la crescita.
Il tono è spesso lieve, spesso più incline a visitare il territorio della commedia che non quello del dramma tradizionalmente inteso; un dramma che, quando irrompe, lo fa quasi sempre per vie traverse, e astratte, con quella capacità di elaborazione fantastica che è tipica della sua protagonista ma anche di tanto cinema giapponese.
Renoir ricorda certi film di un altro regista giapponese decisamente poco conosciuto, Shinji Somai, specializzato in storie e racconti ad altezza di bambino e nella capacità di cogliere con essenzialità e lirismo gli aspetti agrodolci della vita: tutte caratteristiche che ritroviamo nel film di Chie Hayakawa.

La storia di Fuki è raccontata con toni impressionisti, che si tratti di mostrarne la forza e la tenuta psicologiche quando si tratta di fare i conti con il cancro del padre, sia quando elabora questa morte imminente in fantasie e temi scolastici surreali e divertenti, sia quando si appassiona a dilettantesche pratiche parapsicologiche. E nemmeno quando Fuki, per la pulsione inconscia di esplorare il dolore della vita, si caccia in un pasticcio e corre il serissimo e concretissimo rischio di finire nelle grinfie di un pedofilo, e si salva per miracolo, i toni del film perdono l’equilibrio senza ostentazioni che la regista ha voluto e trovato dall’inizio alla fine.
“Quando muore qualcuno piangiamo per loro, o per il nostro dolore?”. È la domanda che Fuki tira fuori all’inizio del film, in uno dei suoi temi. Renoir non offre risposte definitive a questa domanda, ma nel suo racconto mostra come Fuki possa affrontare e superare perdite e dolori, e continuare a vivere e a crescere. Nonostante tutto.



  • Critico e giornalista cinematografico
  • Programmatore di festival
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