Red Dragon - la recensione dell'altro Manhunter

04 aprile 2020
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Nel 2002 usciva al cinema il film dal primo romanzo di Thomas Harris della serie di Hannibal Lecter, forse più fedele della versione di Mann ma arrivato un po' troppo tardi come prequel.

Red Dragon - la recensione dell'altro Manhunter

A volte nel cinema è solo questione di arrivare al momento giusto. Nel 1986 Dino De Laurentiis ebbe l'idea di produrre un film dal romanzo thriller “Red Dragon”, pubblicato da Thomas Harris cinque anni prima senza eccessivo scalpore e intitolato in Italia “Il delitto della terza luna”. Dopo aver considerato il titolo originale, per non richiamare il film di Michael Cimino L'anno del dragone, che era stato un fiasco del produttore, e non creare confusione col cinema di kung fu, decise di intitolarlo Manhunter. Come il libro, anche la sua trasposizione cinematografica, diretta da Michael Mann, ha poco successo, anche se viene negli anni rivalutata dalla critica. Il fatto è che in quel lavoro, pur pregevolissimo per la regia e ben interpretato da William Petersen (lanciato da Vivere e morire a Los Angeles), Tom Noonan, Dennis Farina e Joan Allen, mancava il dottor Lecter. Il romanzo e il film erano infatti un prequel de "Il silenzio degli innocenti", tanto che il personaggio dello psichiatra cannibale non era ancora al centro della storia e al cinema, pare per una non chiara questione di diritti, venne ribattezzato Lecktor alla sua prima apparizione. Inoltre lo scozzese Brian Cox, all'epoca quarantenne, è un bravissimo attore ma non ha lo sguardo, il sorriso inquietante e la presenza minacciosa - in una parola il carisma - di Anthony Hopkins nella parte. Impossibile credere che sia il genio del male che Harris dipinge e di cui purtroppo, Hannibal (pessimo libro e peggior film), esaspererà all'estremo le caratteristiche, trasformandolo in macchietta.

Nel 1991, grazie allo splendido film di Jonathan Demme, Il silenzio degli innocenti, tratto dal secondo romanzo del ciclo (stavolta incentrato maggiormente sul personaggio di Lecter), che ha il record di essere il primo horror premiato con ben 5 Oscar (film, regia, sceneggiatura non originale e migliori attori protagonisti), esplode a livello mondiale la Lectermania (ancor peggio, la mania dei serial killer) e i libri di Harris diventano best-seller. Dieci anni dopo, De Laurentiis, che nel frattempo ha acquistato i diritti dei romanzi, produce il succitato Hannibal, dall'ultimo dei libri della serie, e l'anno successivo il remake - stavolta col titolo originale Red Dragon - del primo già adattato in Manhunter. Ted Tally, che aveva rifiutato – detestando il romanzo – di tornare per Hannibal, accetta di scrivere la sceneggiatura, in cui si attiene con molta fedeltà al libro (con un cambiamento nel finale che riguarda Graham, meno nichilista di quello originale, voluto probabilmente dalla produzione). La fotografia, come già nel film di Michael Mann, viene affidata a Dante Spinotti, mentre le belle musiche vengono composte da Danny Elfman. La regia va a sorpresa a Brett Ratner, all'epoca trentenne e conosciuto per le commedie action della serie di Rush Hour con Jackie Chan e The Family Man.

Il risultato, grazie soprattutto a un cast di primissimo livello, è migliore di quello che ci si potrebbe aspettare se si riesce a dimenticare quel che ne che inficia in parte la credibilità come prequel. Un difetto evidente soprattutto negli attori che riprendono i ruoli ricoperti 10 anni prima: il protagonista Anthony Hopkins e Anthony Heald, che interpreta il dottor Chilton, lo psichiatra del manicomio criminale dove è rinchiuso Lecter, che finisce mangiato per cena alla fine del Silenzio degli Innocenti. Il tempo trascorso si è fatto pesantemente sentire sul fisico degli attori, che appaiono notevolmente imbolsiti, quando dovrebbero essere più giovani rispetto al film di cui interpretano il prequel, ma all'epoca la tecnologia non consente gli effetti di ringiovanimento digitale e dobbiamo dunque giudicare i vecchi interpreti solo dalla qualità delle loro performance, sospendendo l'incredulità.

Hopkins torna luciferino e agghiacciante come lo conoscevamo, sia pure con qualche scivolata nel gigionismo, mentre purtroppo Edward Norton appare totalmente miscast nel ruolo di Will Graham, ed è uno dei punti deboli di un film in cui i villain non hanno un adeguato contraltare negli eroi. Sia nelle raffazzonate scene di vita famigliare che nelle intuizioni che lo rendono suo malgrado così simile al modo di pensare dei serial killer, Norton si aggira spaesato, come se fosse capitato sul set sbagliato, e risulta poco credibile. Fortunatamente è molto ben riuscita tutta la parte relativa a “La fatina dei denti”, “Dente di fata”, “Tooth Fairy”, “scegliete voi il nome che preferite visto che è cambiato mille volte”, grazie all'ottima performance di Ralph Fiennes (soprattutto) ed Emily Watson, mentre nel ruolo del viscido gossip journalist Freddie Lounds appare brevemente (ed è un colpo al cuore) l'indimenticabile Philip Seymour Hoffman. Nell'insieme è un film che avvince e si riesce a guardare ancora oggi senza eccessivi sobbalzi, che non sfiora mai i livelli del Silenzio degli innocenti e che forse è perfino troppo fedele alla pagina scritta, ma che accontenterà i fan del genere senza far loro gridare alla lesa maestà. Alla fine, con Lecter in attesa di una recluta dell'FBI di cui domanda il nome a noi ben noto, Red Dragon si riallaccia direttamente all'inizio della storia successiva (nei libri), ribadendo la sua bizzarra natura di prequel arrivato quasi fuori tempo massimo.



  • Saggista traduttrice e critico cinematografico
  • Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità
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