Quello che non so di lei: recensione del film di Roman Polanski presentato al Festival di Cannes 2017
Interpretato da Emmanuelle Seigner e Eva Green.
Mentre molto cinema di oggi è sempre più annodato, ingolfato, spersonalizzato, ci sono per fortuna ancora in giro i Roman Polanski, i grandi registi che non hanno bisogno di fare troppi sforzi, di ostentare capacità tecniche o incasinare copioni, per mostrare il loro valore.
No, ai Polanski di questo mondo - che sono pochissimi - viene facilissimo fare il cinema che ci piace, con la disinvolta semplicità di chi sa cosa sta facendo, conosce il suo valore e non ha nulla da dimostrare.
Se poi al talento di Polanski viene affiancato, in sceneggiatura, quello di Olivier Assayas, si può facilmente immaginare perché D'après une Histoire Vraie sia uno di quei film capaci di divertirti e d'intrigarti con quella leggerezza che rifiuta ostentazioni e intellettualismi.
In questo adattamento dell'omonimo romanzo di Delphine de Vigan ci sono sia le ossessioni di Polanski che quelle di Assayas, che si sposano nel raccontare una storia che gioca con ironia col thriller psicologico senza mai buttarla in vacca, ma anzi arrivando a conclusioni che - coerentemente con le premesse - riescono a dire cose interessanti su questioni legate all'identità, alla creazione artistica, alla finzione e alla tanto di moda autofinzione.
Perché, se la vicenda che unisce Emmanuelle Seigner (una scrittrice in crisi creativa e non solo) e Eva Green (una fan che s'introduce inesorabilmente nella sua vita, e in modo sempre più inquietante e manipolatorio) può richiamare alla memoria Misery non deve morire, qui è anche il piano simbolico e metaforico a esser diverso da quello del romanzo di Stephen King e del film di Rob Reiner che è derivato, e non solo le coordinate di genere.
Per quando venato d'assurdo fin dall'inizio, il gioco di ruoli tra la scrittrice e la sua fan (che a sua volta scrive, fa la ghostwriter: proprio come Ewan McGregor nell'omonimo film di Polanski di qualche anno fa, in qualche modo tanto simile a questo) è coerente e credibile. E lo è ancor di più quando i nodi vengono al pettine, e la natura di un rapporto dapprima sbilanciato e poi egualmente parassitario diviene chiara.
Una relazione, quella tra Seigner e Green, che in qualche modo ricorda quella tra Kristen Stewart e Juliette Binoche in Sils Maria, e quello tra la Stewart e la fantasmatica Kira di Personal Shopper, gli ultimi due film di Assayas.
Ma se la mano di Assayas è palpabile, è comunque sempre quella di Polanski quella dominante, in D'après une Histoire Vraie.
Una mano e uno sguardo che sono facilmente riconoscibili nello stile fluido e liquido della regia, e nella capacità di giocare con facilità quasi sconcertante con la tensione, l'umorismo, e la dimensione più ambigua e allucinata di un film che ha la capacità e il coraggio di cancellare confini invece di segnarne di nuovi, di citarsi senza piaggeria, di avvolgersi lentamente su sé stesso e attorno a noi che guardiamo.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival