Pitch Perfect 3: recensione del film che chiude la trilogia delle Barden Bellas

05 giugno 2018
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Il terzo film è inferiore agli altri, ma le regine del canto a cappella si esibiscono egregiamente e se la cavano anche con l'action.

Pitch Perfect 3: recensione del film che chiude la trilogia delle Barden Bellas

Tutte le cose meravigliose prima o poi finiscono. Anche le esibizioni delle Barden Bellas finiscono, o meglio stanno per finire, e le Barden Bellas stesse come gruppo di canto a cappella che sotto pressione sa e può dare il massimo è pronto a lasciare la scena. Le abbiamo conosciute al college Beca, Grassa Amy, Emily, Clohe, Aubrey, eccetera, e abbiamo seguito le loro mirabolanti avventure anche grazie alle spiritose e sapide osservazioni dei commentatori del campionato universitario del canto a cappella John e Gail - ovvero John Michael Higgins ed Elizabeth Banks, che poi ha diretto e prodotto Pitch Perfect 2, che del trittico con Anna Kendrick e Rebel Wilson è certamente la parte migliore, migliore del film che chiude il ciclo. Quest'ultimo affidato alle mani di Trish Sie, è più debole, ma se non altro si spinge in una direzione inedita, il che è sempre salutare.

La regista di Step Up All In (che quindi ama e conosce le coreografie danzerecce), da un lato riporta le girls nate dalla fantasia di Kay Cannon al canto a cappella duro e puro - contaminato nel capitolo 2 da batteria sintetizzatore - mentre dall'altro fa virare il film, i cui dialoghi sono un po’ banalotti, verso l’azione con la A maiuscola, e l’azione si svolge, nella nostra storia, "da qualche parte sulla costa francese", con le ugole d'oro rapite da una banda di criminali e salvate da un'ingombrante super-eroina un po’ guerriero Ninja che si affida a un infallibile estintore per annientare il nemico. Con l'apertura al nuovo, sale quindi il budget e, ovviamente, salgono le aspettative dei fan delle Bellas, che solo se fedelissimi e attenti in particolar modo alla colonna sonora, non resteranno delusi.

Perché nonostante la sempre brava Kendrick, che continua a guadagnarsi il titolo di "personaggio più approfondito del gruppo", il film trasforma il movimentato in goffo, lo spiritoso in ridicolo o vagamente volgare e, nel tentare di spremere il sottogenere "viaggio di gruppo", o precipita nello slapstick o non si allontana da abusati cliché, tra figuracce, baldoria a più non posso e parentesi romantiche dall’esito piuttosto scontato. Inoltre, per amor di sincerità, non si può non dire che l’accento australiano di John Lithgow (che nella versione doppiata non si sentirà) non è dei migliori e che l’attore, che ha riscoperto la comicità e le figure paterne con Daddy's Home 2, fa un po’ troppo la scemo. Grassa Amy va meno a ruota libera, ma sembra fare il verso allo Zach Galifianakis dei vari Una notte da leoni, a una "bad mom" o a una versione casereccia delle amiche di Crazy Night.

E tuttavia, in lei come nelle sue compagne di trasferta in Spagna chiamate a partecipare a un’esibizione organizzata dall'U.S.O. per sostenere le truppe americane, c’è comunque della tenerezza e del candore: nel modo di rapportarsi al mondo della musica - che trova quasi ingenuo il canto a cappella - e perfino del lavoro, perché Pitch Perfect 3, seppure debolmente e soprattutto all’inizio, ci racconta di ragazze uscite dal college con dei sogni che faticano a realizzare, visto che la vita nell'America di oggi non è una passeggiata e gli avversari più tosti sono l'indifferenza generale e la stupidità diffusa, per esempio quella del rapper che costringe Becca a licenziarsi, delle tre bombe sexy che cantano nel gruppo Evermoist ("sempre umide") o di un pugno di capelloni che si ostina a sventolare la bandiera di un’insopportabile musica country.

Ecco, Pitch Perfect 3 osserva con intelligenza e umorismo l'ottusità dei più, e all'individualismo ad ogni costo oppone la solidarietà e un senso di comunità, il considerarsi una famiglia. E’ l'unione la forza delle Bellas, che si sostengono in qualsiasi situazione e che, strette in camicette a righe vagamente anni '50, riescono anche ad essere molto sexy. Ma il vero valore aggiunto del film, e delle sue protagoniste, è il sano spirito competitivo che lo (e le) anima. Non c'è niente da fare: un Pitch Perfect degno di questo nome deve andare avanti a suon di gare, e quando le Barden B. sfidano un avversario, diventano la quintessenza dell'indistruttibilità.

E allora, as usual, la parte migliore anche di questa loro conclusiva parabola cinematografica sta proprio nelle canzoni, o meglio nelle esibizioni, perché Beca & Co. ballano benissimo e benissimo si passano la palla, e stavolta a fare la parte del leone sono "Toxic" di Britney Spears e "Freedom 90" di George Michael, mirabilmente eseguite. La prima, poi, accompagna la scena più carica di tensione del film e, guardandola, non sappiamo se ammirare le Bellas più per il loro coraggio o per il loro talento.

In confronto a queste giovani donne, Dj Khaled, a cui è affidato il concerto che le Barden sperano di introdurre, sembra un pivello, o forse siamo noi nostalgici degli anni '90 che siamo troppo "antichi" per capire la sua musica. Comunque il ragazzo sfigura, mentre le fanciulle "spaccano", ed è un peccato doversi congedare da loro dopo 6 anni insieme, soprattutto con un film che non ha l'energia del loro canto. 



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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