Navalny: la recensione del documentario sul dissidente russo vincitore dell'Oscar
Uno sconvolgente ritratto dei momenti decisivi della lotta del dissidente Navalny contro il regime di Putin, prima e dopo l'avvelenamento che ne ha causato quasi la morte. Il documentario grande favorito per gli Oscar nella recensione di Mauro Donzelli.
Alza gli occhi per un attimo, distratto dall’intervista a cui è sottoposto, dalla parte che interpreta di paladino infaticabile contro la tirannia del regime di Putin. Un momento che spiega qualche tempo dopo, ma non ci sarebbe bisogno, in cui si rende conto che quanto dice potrebbe essere utilizzato dopo la sua morte, creando un “noioso film omaggio”. Ma Navalny vuole che il documentario che porta il suo nome, diretto da Daniel Roher, alla cui squadra ha concesso totale irruzione nella sua quotidianità, sia un thriller. Un momento di umanità, una crepa di fragilità nel personaggio che è costretto a vivere, oltre che interpretare, da anni: il dissidente più noto in tutta la Russia. Con le sue contraddizioni, come i passati rapporti con l’estrema destra, ma, come dice, in un momento così emergenziale per la democrazia russa non poteva essere troppo selettivo nei compagni di viaggio.
All’inizio del 2020 Roher si è messo in viaggio fino a un piccolo paese nella Foresta nera austriaca, a pochi passi dal confine tedesco, in cui Alexei Navalny sta ritrovando la forma - come un novello Wolverine- dopo essere stato avvelenato e non ucciso per tanto così, ridotto in coma durante un volo che lo riportava a Mosca dopo una tappa in Siberia della sua campagna per diventare presidente della Russia. È stato questo, infatti, il suo peccato imperdonabile per lo zar: essere un vero oppositore, un candidato si sostanza e non un fantoccio messo lì proprio dal partito al potere Russia unita per offrire un simulacro di competizione democratica.
Proprio quanto accaduto dal 24 febbraio 2022, con la guerra scatenata contro (tutta) l’Ucraina ci regala un Putin che ha superato a destra quello ancora attento alla reazione internazionale e dell’opinione pubblica locale che viene mostrato in questo formidabile documentario. Sono passati in fondo un pugno di mesi, da quando si conclude il film (metà 2021), con il ritorno di Navalny in patria e il suo arresto, con successivo inutile sciopero della fame e rimpallo costante fra invivibili celle d’isolamento e momenti di tregua. Eppure è cambiato il mondo, e Roher ricostruisce con un ritmo trascinante e il privilegio del punto di vista fly ot the wall (da noi potremmo tradurre con ‘sbirciando come una mosca sul muro’) la fine di ogni opposizione alle follie putiniane. Una rottura di ogni inibizione interna che ha accompagnato la sua fuga in avanti successiva anche in politica internazionale.
Un anno concentrato soprattutto nel raccontare l’inchiesta sull’avvelenamento, con tanto di nomi e cognomi dei colpevoli e le prove di come la direttiva sia partita direttamente dal Cremlino, portata avanti dalla fondazione di Navalny, appoggiata da un nobile e curioso personaggio, una specie di ricco benefattore bulgaro appassionato di indagini online e offline. Nel cuore, a due terzi esatti del documentario, una delle scene più sconvolgenti vista in questa stagione. Puro cinema, fatto di sguardi ma senza il lusso della verosimimglianza quanto invece quello di una realtà incredibile. Una telefonata con chi ha partecipato al tentativo di avvelenamento, che a Hollywood sarebbe stata ritenuta non credibile. Ma non vogliamo rovinare la sorpresa, tale anche se conoscete i dettagli delle prove che Navalny ha fatto rimbalzare (come sempre) sui social, in quanto l’essere “qui e ora”, in diretta e senza filtri mentre viene messa a nudo la stupidità del regime e dei suoi utili idioti lascia in ogni caso a bocca aperta.
Si può scegliere di reagire quasi ridendo e mettendo una mano sulla tempia, come fatto da un testimone presente, o rimanendo immobili e con le lacrime agli occhi, come reagisce l’assistente di Navalny. Quello che è impossibile è mantenere la compostezza sul filo dell’ironia del Grande Dissidente, mentre infila il coltello della verità nel ventre molle delle contraddizioni di una tirannia che beffardamente - ce lo insegna la storia - non può che diventare sempre più ridicola, pur provocando effetti sempre più tragici.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito