Mufasa - Il Re Leone, la recensione del prequel Disney

17 dicembre 2024
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Mufasa - Il Re Leone si propone di raccontare l'origin story del padre di Simba... e del suo tormentato rapporto con un fratello acquisito. La nostra recensione del prequel Disney in CGI fotorealistica.

Mufasa - Il Re Leone, la recensione del prequel Disney

Mentre Simba e Nala stanno per accogliere un secondogenito, la loro primogenita Kiara viene intrattenuta da Rafiki, che le racconta la storia di nonno Mufasa: allontanato per un incidente da sua madre e suo padre, ospitato in una famiglia adottiva, accolto in un altro branco per intercessione di un cucciolo come lui, Taka. Diventati giovani leoni adulti, Mufasa e Taka sono costretti a lasciare il branco per sfuggire alla minaccia dei leoni bianchi, al cui comando c'è il rabbioso Kiros. Sulla strada, la grande intesa tra i due comincia a incrinarsi...

Quello inaugurato dal capolavoro Il Re Leone nel 1994 è un marchio che la Disney non può proprio lasciar andare. Nel 2019 reagimmo con una certa amarezza di fronte al suo remake in CGI fotorealistica: non solo non ci sembrava necessaria una rilettura di un film ancora molto contemporaneo, ma sopportavamo a stento la confezione pseudo-dal vero di quel rifacimento, di fatto un altro film di animazione in incognito, che però dichiarava indirettamente defunta la classica tecnica 2D a mano a libera. Naturalmente, queste opinioni "vecchie" nulla poterono contro il trionfo commerciale di quel remake, rimasto il film animato dal più alto incasso della storia del cinema, fino al sorpasso quest'anno da parte di Inside Out 2. Di fronte a questo Mufasa - Il Re Leone, prequel con una cornice che si apre a sequel, potremmo deporre le armi più storiografiche (e per qualcuno pregiudiziali), cercando di mantenere alta la guardia.

Ci riesce più facile deporre le armi perché Mufasa - Il Re Leone è per lo meno una storia nuova, riduce l' "effetto cosplay" di tanti altri remake disneyani dell'ultimo periodo, e sceglie una strada interessante. Il regista Barry Jenkins, premio Oscar per il diversissimo Moonlight, una vita nel cinema indipendente, si è difeso dalle accuse della rete per il suo "vendersi" alla Disney: nella sceneggiatura di Jeff Nathanson (che si era già occupato del remake) ha visto un tema che gli è stato molto a cuore nei suoi lavori, cioè l'idea che si possa essere diversi dal contesto in cui ci si trova a crescere, ripensando se stessi in famiglie alternative. Attraverso incontri che sanno innalzarti. Una lettura molto forte in questo film: la rappresentazione del legame tra Mufasa e Taka non sfocia mai nel melenso, perché anche lo spettatore più distratto realizza che quest'ultimo è il futuro Scar. Scatta allora la curiosità di seguire le fasi di questa metamorfosi psicologica. È un dramma annunciato come quello di Anakin che nella trilogia prequel di Star Wars sarebbe diventato Darth Vader: di fronte al mito, non è nemmeno più questione di spoiler, perché saperlo non rovina l'esperienza, anzi la rende più emotiva. Sai quello che ancora i personaggi non sanno, sei un passo avanti a loro, non li puoi avvisare e il senso di difesa nei loro riguardi aumenta molto bene l'empatìa verso di loro. Non è tantissimo, sarà fanservice, però funziona e non permette di demolire il lavoro, tra l'altro ancora una volta impreziosito dal notevole fotorealismo digitale che la Moving Picture Company sta affinando sin dal remake del Libro della Giungla.

Naturalmente, deporre le armi non significa in automatico osannare. La cornice con Kiara e l'arrivo del fratellino è chiaramente piazzata lì per non perdere l'occasione di sventolare un sequel, mentre si offre un prequel. Allo stesso tempo, offre l'unica possibilità di chiamare in causa Timon & Pumbaa a commentare la storia: nella giovinezza di Mufasa chiaramente non c'erano, ma nel marchio "Re Leone" non possono mancare. Diverse loro battute fanno ridere, anche se per portare a casa la risata li si spinge verso una caratterizzazione "alla Genio di Aladdin", con qualche sfondamento della quarta parete che stride un po' col tono solenne del racconto. Lin-Manuel Miranda, ormai risorsa disneyana preferita per i musical dello studio (animati e non), occupandosi di tutte le nuove canzoni, offre sicuramente una certa omogeneità autoriale ai pezzi, cosa in sé non disprezzabile: permane tuttavia la sensazione che il musical su questi animali fotorealistici cozzi un po' goffamente, e quando Miranda si fa prendere la mano con eccessi ironici ("Bye-Bye") questo attrito si avverte ancora di più.
In definitiva, Mufasa - Il Re Leone esiste in funzione di uno sfruttamento commerciale di una miniera d'oro, che impone alcune determinate scelte artistiche per alimentarla. Si fa però guardare volentieri, perché nell'ambito della saga prova almeno a raccontare qualcosa di nuovo.



  • Giornalista specializzato in audiovisivi
  • Autore di "La stirpe di Topolino"
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