Mi fanno male i capelli, la recensione del film di Roberta Torre con Alba Rohrwacher (e Monica Vitti)
Un film coraggioso, a suo modo sperimentale, che pensa e vuol far pensare. Roberta Torre non ha paura di nulla, e c'è da farle i complimenti. La recensione di Mi fanno male i capelli di Federico Gironi.
Un film in cui una donna con gravi problemi neurologici, interpretata da Alba Rohrwacher, s’immedesima in Monica Vitti e, perdipiù, inizia anche a dialogare con lei (e con Alberto Sordi!) a distanza, attraverso le immagini dei suoi film. Cosa mai poteva andare storto? Tutto, o quasi. Comunque molto.
E invece, Mi fanno male i capelli (e no, questa storica battuta divenuta in qualche modo simbolo del cinema della coppia Antonioni/Vitti qui non viene ripetuta) funziona, e funziona anche bene, grazie a come Roberta Torre riesce a controllare il film e i suoi attori.
La Monica di Rohrwacher la incontriamo sulla spiaggia di Sabaudia, in inverno, già smarrita.
Soffre di una rara malattia, la sindrome di Korsakoff, verremo a sapere. Le provoca amnesie, cambi di personalità e costruzione di falsi ricordi.
Per questo, forse, quando s’imbatte per caso in un dvd della Notte, si convince di essere lei, quella Monica lì sullo schermo, e inizia a replicare le sue batture, il suo abbigliamento, le sue acconciature. Sempre di più, con riferimenti a film sempre diversi: L’eclisse, Deserto Rosso, ma anche A mezzanotte va la ronda del piacere, Amore mio aiutami e Polvere di stelle.
Il dubbio, però, in noi che assistiamo a quest’immedesimazione, e poi ai veri e propri dialoghi impossibili tra queste due Monica, s’insinua feroce: davvero quel che accade è colpa della malattia?
Perché se Monica si trova a Sabaudia, e non a Roma, nella casa di via Archimede citata a un certo punto, è perché suo marito è in grossi guai finanziari, ha debiti, e quella casa è costretto a venderla. E perché quel marito così paziente e affettuoso anche di fronte alle apparenti follie della moglie, interpretato da Filippo Timi, forse la tradiva spesso e volentieri.
Il punto, allora, pare essere un altro.
L’impressione è che Mi fanno male i capelli sia un film misterioso e teorico sul potere del cinema. Un cinema che permette evasione dal quotidiano, annullamento di sé, proiezione di noi stessi in altre vite e in altri mondi che, anche quando siamo coscienti, e non malati, e presenti in tutto e per tutto a noi stessi, consentono sempre una qualche forma di reinvenzione.
Come se da quel contagio dell’immaginario derivasse poi, anche, un contagio dell’essere, e della coscienza.
Roberta Torre non ha paura di nulla.
Nemmeno di prestare, in un paio di scene, il fianco alle critiche un po’ ottuse di quelli che diranno “ma non si vergognano Rohrwacher e Timi a fare il verso e sfigurare di fronte a Vitti e Mastroianni?”. Ottuse, perché non è quello il punto. E perché in quello che devono fare, e essere, i due protagonisti di Mi fanno male i capelli fanno tutto tranne che sfigurare.
Roberta Torre non ha paura nemmeno di compiere uno dei più grandi peccati, pare, del cinema contemporaneo: quello per cui va spiegato sempre tutto, allo spettatore, al quale nemmeno un dubbio deve essere lasciato.
E invece: chi è quella signora con cui Timi parla ogni tanto? Cosa sta succedendo esattamente nella vita di questa coppia? Soprattutto: cosa succederà, dopo l’ultima inquadratura, alla Monica di Alba R.?
Non sarà incomunicabilità antonioniana, questa. Non sarà criptico ermetismo. Ma, di certo, è la prova della voglia, dell’intenzione e della pratica di proporre un cinema che pensa, e che vuol far pensare. Che non si accontenta di stare dentro i bordi, ma che, senza barocchisimi o spocchia, deborda - e magari sbaglia - per la voglia di provare qualcosa di nuovo, figlio di una riflessione, di una teoria, di una sperimentazione.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival