Los Colonos: la recensione del film
Al cinema dal 7 marzo, per poi diventare successivamente disponibile in streaming su MUBI, il film diretto dall'esordiente Felipe Gálvez che ha vinto un premio FIPRESCI a Cannes e che è stato candidato dal Cile agli Oscar. Nel film c'è anche lo zampino del genio Mariano Llinás. La recensione di Los Colonos di Federico Gironi.
Vincitore del Premio FIPRESCI nella sezione Un Certain Regard di Cannes 2023, Los Colonos è un film che compie uno scarto rispetto allo standard del “film da festival” tradizionalmente (e noiosamente) inteso. E non solo perché si appoggia chiaramente all’immaginario del genere, che nel caso specifico è il genere western.
Siamo all’alba del Novecento, nella Terra del Fuoco, la parte più meridionale dell’America del Sud, terra aspra, subantartica, tutta da esplorare. Colonizzare. Sfruttare.
C’è un ricco e spietato proprietario terriero (José Menéndez, personaggio realmente esistito, qui interpretato da un sulfureo Alfredo Castro), cui sono stati dati in concessione ettari ed ettari, una landa che si espande dal Cile fino, e oltre, il confine con l’Argentina. Solo montagne, praterie, rocce, alberi. Fino al mare, fino all’Oceano Atlantico. No, non solo. Ci sono anche gli indigeni, gli Ona. Che i coloni bianchi, con la complicità del governo, vuole eliminare.
La storia di Los Colonos, allora, è quella di una spedizione. Tre uomini. Un ex militare inglese, un cowboy texano, e un meticcio, Segundo, mezzo bianco mezzo indio. Tutti al servizio di Menéndez. La loro missione: trovare una via fino al mare per le mandrie del padrone. Sulla carta. Nella pratica, sterminare gli Ono.
All’inizio, come detto, il western. Disteso, dilatato, a tratti allucinato. Sempre teso, tesissimo, della tensione che il personaggio di Segundo, il cui punto di vista è inevitabilmente il nostro, fin dalla prima scena, vive prima di tutto dentro di sé, dilaniato dalle polarità opposte della sua identità genetica. Una tensione anche esterna, che vede Segundo contrapposto ai due brutali, rozzi e violenti uomini bianchi che lo trattano poco meglio di come tratterebbero uno schiavo.
Eppure, il viaggio che compiono assieme, attraverso luoghi fantasmagorici che Felipe Gálvez, regista e sceneggiatore del film, racconta con immagini e suoni ipnotici, sarà devastante anche per quegli altri, per i bianchi coloni, che troveranno pane per i loro denti proprio nella loro stessa razza.
La violenza che Gálvez mette sullo schermo, però, è solo una parte di quello che è stato definito un vero e proprio genocidio, evocato solo successivamente, in maniera indiretta e ancora più efficace.
Los Colonos, a un certo punto, fa un salto temporale in avanti di diversi anni, torna a occidente, e poi verso il nord, quando il nuovo governo del presidente Pedro Montt cercò in qualche modo di fare i conti con il recentissimo e sanguinoso passato su cui si era andato costruendo il suo paese.
In qualche modo, quindi, c’è un filo sottilissimo ma resistente, che lega Los Colonos a Killers of a Flower Moon. Un filo che intesse il racconto di una nazione bianca pronta a prosperare sul sangue di popolazioni indigene.
Snello nella forma, mai troppo lungo o insistito, labirintico e agile al tempo stesso nello snodare il suo contenuto, Los Colonos è il film di un esordiente che sa cosa sia il cinema, e come usarlo per raccontare le storie che gli stanno a cuore.
Ha un magnetismo misterioso, che si alimenta nella capacità di alternare registri in maniera quasi impercettibile, e in una certa tendenza all’assurdo e al paradossale che mi piace pensare, oltre che a Gálvez, sia attribuibile alla mano sempre riconoscibile di Mariano Llinás, genio del cinema argentino e mondiale contemporaneo, che qui ha contribuito alla stesura del copione e che appare anche in un gustoso cammeo, nei panni di uno stralunato ma ficcante scienziato incaricato dal governo dell’Argentina di segnalare il confine tra il suo paese e il Cile, e che fa da anima critica della cattiva coscienza dell'uomo bianco.
- Critico e giornalista cinematografico
- Programmatore di festival