La vita possibile - la recensione del film con Margherita Buy e Valeria Golino
Ivano De Matteo racconta con la consueta sincerità e passione una tranche de vie contemporanea, ma il risultato è discontinuo.
Che vita può esserci dopo un'esperienza traumatica, che ti costringe a lasciarti tutto alle spalle e ripartire da zero? C'è speranza in una fuga che viene comunque vissuta come una sconfitta, col senso di colpa per non aver saputo proteggere se stessi e coloro che si amano? Si può ricominciare da capo, altrove? Sono queste le domande a cui La vita possibile cerca di rispondere, con l'onestà e la passione che Ivano De Matteo mette sempre nei suoi film. Per questo non affronta direttamente il tema della violenza sulle donne ma sceglie di raccontare un'altra storia, quella delle molte che – ne siamo sicure – sia pure a caro prezzo ce l'hanno fatta e - anche se le cicatrici se le porteranno sul corpo e nell'anima - non sono diventate un numero in un'orribile statistica di cronaca nera.
Non sappiamo niente di Anna e del suo matrimonio, da quale classe sociale provenga, se ha studiato, come abbia conosciuto l'uomo che pur dichiarando di amarla le ha mancato ripetutamente e atrocemente di rispetto. Ma non conta, perché noi conosciamo la donna diversa, volitiva, determinata a farcela. Anche se per questo deve adattarsi a trasferirsi in una città bellissima ma climaticamente agli antipodi di Roma come Torino, trascinandosi dietro un figlio quasi adolescente con tutte le problematiche dell'età. Non sapremo alla fine se la ritrovata serenità di Anna sia reale o solo apparente (sembra troppo bella per essere vera, e De Matteo conosce bene la realtà), in un finale aperto che suona volutamente ambiguo ma che apre anche il cuore alla speranza di giorni migliori, di una rigenerazione, forse di un nuovo amore.
Di La vita possibile ci è piaciuto soprattutto questo afflato sentimentale che non diventa mai stucchevole e questa voglia di raccontare una tranche de vie da una posizione insolita. E ci sono piaciuti gli attori, come al solito ottimamente diretti: da una Margherita Buy credibilissima nel ruolo di una mamma in crisi, all'esordiente Andrea Pittorino, di fatto coprotagonista nei panni del figlio ribelle, per non parlare dell'amica “matta”, allegra e sola Valeria Golino (e chi non ne ha una?), dell'ombroso Mathieu di Bruno Todeschini e della giovane prostituta ucraina di Caterina Shulha. E la Torino colta nello splendore autunnale e nei suoi angoli anche meno noti, altra protagonista.
Peccato che accanto a questi pregi stavolta la tensione narrativa sia meno serrata del solito, e che a differenza di altri film di De Matteo questo si presti meno alla discussione e al dibattito. Come se in questa versione mininalista di una storia comune, che a tratti sembra quasi un docunentario, mancasse qualcosa di fondamentale, capace di tenerci avvinti al suo svolgimento. Come spettatori ci è rimasta una sensazione di non risolto e di distacco, nonostante l'inno alla vita cantato da Shirley Bassey sui titoli di coda. O forse è colpa nostra, se non crediamo più all'esistenza di una mongolfiera capace di sollevarsi abbastanza in alto sulle miserie del mondo e sulla cattiveria umana.
- Saggista traduttrice e critico cinematografico
- Autrice di Ciak si trema - Guida al cinema horror e Friedkin - Il brivido dell'ambiguità