La solita commedia - Inferno: recensione del film di Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio

13 marzo 2015
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Per I soliti idioti l'Inferno è sceso sulla Terra

La solita commedia - Inferno: recensione del film di Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio

Ne "L'Inferno" di Dante Alighieri i dannati se la passano piuttosto male, che siano i "peccatori a metà" del Limbo o che facciano parte dell’infame schiera dei traditori. Tuttavia – chi più chi meno – in vita si sono presi qualche soddisfazione, godendosi il vino e il cibo, i piaceri della carne e perfino turpi meschinità e atroci vendette.
Nella commedia di Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio che dalla prima cantica del poema del fiorentino nasone prende parte del titolo, l’inferno è invece sulla Terra, più precisamente nell’Italia delle grandi città, dove i minimi comuni denominatori sono la maleducazione, l’inopportunità, la stupidità, l’invadenza e soprattutto la sconcertante e inconfutabile verità che ormai siamo troppi.

"Che novità!", osserveranno i detrattori della coppia comica, che erroneamente credono che la volgarità appartenga agli inventori di Ruggero De Ceglie & Co. e non al mondo che costoro argutamente descrivono. E invece “la solita commedia” di cui parliamo ha molto poco di "solito", perché, ora con fare dissacratorio ora con una nuance di tenerezza, si fa beffe di ossessioni e comportamenti squisitamente nostrani e si prende il lusso di obiettare che “nerd o tonto non è per forza bello”.
Con un trasformismo davvero sorprendente, Fabrizio e Francesco snocciolano a velocità supersonica una molteplicità di tipologie umane che sono il prodotto non degli ultimi anni, ma degli ultimi mesi, addirittura giorni, il che denota nei due “ragazzacci” una dedizione instancabile all’arte di osservare la gente – e di osservarla bene.
Cambiando parrucca, accento, costumi e sesso, F&F entrano in bar stipati di avventori ed escono da cartelloni pubblicitari, si fanno strada tra le anime sottoposte al giudizio di Minosse e salgono su su fino al Paradiso, in un viaggio sempre più vorticoso che ci agghiaccia – dal momento che è tutto mostruosamente vero – ma in fondo un po’ ci consola, perché giustifica la rabbia cieca che ci invade ogni volta che diventiamo vittime di un sopruso.

Chi ha studiato il toscano di rosso vestito al liceo o all’università si compiacerà inoltre della parlata trecentesca di Mandelli, della divisione in gironi e di qualche erudita citazione, a cui bisogna aggiungere un divertente riferimento cinematografico a uno dei film più deliranti di Danny Boyle
A proposito di cose deliranti, la parte migliore de La solita commedia – Inferno è senza dubbio quella più febbrile, grottesca, le scene in cui i due protagonisti alzano il labbro per mostrare il dente avvelenato e condannano tutte le forme di bruttezza, a cominciare da quei cafoni illetterati che grugniscono invece di parlare e che, come gli zombie di The Walking Dead, sono ben più numerosi di noi personcine educate, di noi brava gente che quando parliamo a suon di "top!" e "amazing!" forse siamo anche peggio.

Meno a fuoco è la parte iniziale del film, con il suo ritratto forse scontato dell’Altissimo e di santi e beati e con un’aggressività verbale che, una volta iniziate le nuove peregrinazioni terrestri di Dante Alighieri, progressivamente si stempera. A rendere un po’ faticosa la partenza è anche un montaggio che non ha l'energia da dita nella presa elettrica di Fabrizio Biggio e Francesco Mandelli, per la prima volta affiancati da un solido gruppo di comprimari.

Rispetto ai due film de I soliti idioti, qui c’è una maggiore compattezza e coerenza narrativa,cosa che ci fa ben sperare per il futuro. Detto ciò, per apprezzare in pieno La solita commedia – Inferno, bisogna essere degli estimatori del duo e abbracciarlo in toto: nell'umorismo chiassoso e nella scorrettezza, nelle iperboli e in una irriverenza religiosa che ci ha fatto ripensare al memorabile film di Renzo Arbore Il Pap'occhio.

 



  • Giornalista specializzata in interviste
  • Appassionata di cinema italiano e commedie sentimentali
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