La mélodie: recensione dell'edificante storia di un ragazzo che si innamora della musica
Una storia sulla speranza in un quartiere difficile della periferia parigina.
Negli ultimi anni il cinema francese ha moltiplicato i film che raccontano con una chiave di speranza le anguste dinamiche delle perfierie più disagiate. Una nobile risposta agli attentati terroristici degli ultimi anni, all’insegna del tentativo di creare un dialogo sociale non facile e spesso trascurato nella realtà. L’ennesima conferma, e una solida motivazione per l’ottimo risultato al botteghino, viene da La mélodie, opera terza del trentenne algerino, di casa in Francia, Rachid Hami, la cui carriera è iniziata da giovanissimo come attore nel film La schivata di Abdellatif Kechiche.
L’ambientazione è la consueta scuola della banlieu parigina in cui le classi sono socialmente miste e spesso frequentate da alunni cresciuti in famiglie monoparentali o variamente disagiate. All’interno di questo contesto caotico arriva una presenza che stona, quella di Simon, un musicista che ha vissuto momenti di gloria nella sua professione, che però sono ormai alle spalle. Ha bisogno di soldi e accetta di insegnare violino a una classe che vede la cosa più come una rottura della noia scolastica che con vera passione. Lui è rigido nei metodi e subito si scontra con il caratterino di alcuni degli allievi più scalmanati.
Tra di loro però c’è anche Arnold, un timido ragazzo conquistato sinceramente dal violino e soffocato dalla quotidianità priva del padre e dal quartiere in cui vive, pieno di palazzoni. Per allargare gli orizzonti, appena può sale sul tetto e suona, un po’ per non disturbare, molto di più per sognare un futuro lontano, magari verso i bei quartieri o i palazzi del centro che si intravedono in lontananza. Simon e Arnold di specchiano, il professore vede nel giovane e improbabile talentuoso allievo quella passione che ormai l’ha abbandonato oltre a un radioso futuro possibile, quando lui vive nel rimpianto di un passato glorioso.
Gli screzi iniziali aiutano a far crescere la stima reciproca fra l’ostico maestro e l’ostica classe, nutrendosi reciprocamente di un’energia che potrebbe portarli fino all’esibizione nel saggio finale alla Filarmonica di Parigi, per molti all’inizio solo un’illusione.
La mélodie segue degli schemi consolidati, non cerca certo l’originalità, proponendo uno sguardo laico nei confronti della gioventù, privo di preconcetti o generici rimbrotti da ‘i giovani d’oggi non si impegnano più’. Un dialogo intergenerazionale che è il vero obiettivo di una società che vuole rispondere alla crisi, con un entusiasmo che conquista lo spettatore anche grazie all’eterno valore terapeutico della musica, maestra nel far comunicare senza parole mondi diversi.
Kad Merad, completamente calvo per l’occasione, è molto convincente in un ruolo poco consueto, lontano rispetto alle commedie a cui ci ha abituato, più vicino alla serie tv locale di successo Baron noir. Da ammirare la consueta abilità del cinema francese di far recitare i ragazzi, su tutti l’esordiente Renély Alfred.
- critico e giornalista cinematografico
- intervistatore seriale non pentito